L'ACQUA A FARNESE:
QUATTRO SECOLI DI CRONACHE.
Fontana di mostra dal progetto originale 
dell'ing. Tuccimei anno 1885

di Tiziana Mancini.


I.
"...dare sicuramente conducta laqua de nempe..."

L'ambizioso progetto che la nostra gente per secoli sognò di realizzare ebbe lunga e travagliata vita: lento e non facile fu il cammino percorso per arrivare alla costruzione dell'acquedotto. Le alterne vicissitudini iniziarono sul finire del XVI secolo.
E' necessaria, prima di inoltrarci nella cronaca degli avvenimenti, una attenta analisi delle condizioni storiche e ambientali di Farnese, ricomponendo i frammenti che ci rimangono di quel modo di vivere e di quella società non priva di austerità, ma retta da un ineguagliabile buon senso.
Il contesto socio-economico del XVI secolo non è per Farnese uno spaccato di vita florida e agiata. Siamo sul finire di un'epoca, quella rinascimentale, che tanta magnificenza e splendore portò nei grandi centri, ma non altrettanto generosa fu nei confronti dei piccoli borghi periferici dove miserie e povertà regnavano incontrastate.
Il livello di vita condotto a Farnese fu sempre piuttosto basso, le uniche fonti di reddito erano l'agricoltura e la pastorizia, inoltre le attività più redditizie erano monopolio del feudatario e del Comune (1). Da non sottacere è la possibilità che una parte della popolazione vivesse prestando i suoi servizi come soldati mercenari, combattendo a fianco della famiglia Farnese. E' noto, infatti, che i Farnese furono valorosi condottieri e gonfalonieri della Chiesa.
Tali precisazioni ci sembrano opportune al fine di individuare la giusta chiave di lettura delle vicende storiche che più avanti incontreremo, per acquisire una visione completa degli eventi, concepiti non come una piatta sequenza di avvenimenti più o meno rilevanti e fini a se stessi, ma ampliando la loro valutazione, attraverso l'analisi del contesto sociale e culturale dell'ambiente delle trasformazioni avvenute nel corso dei vari periodi storici.
Diversamente ne risulterebbe una visione limitata e semplicistica dei fatti che realmente avvennero: ben più avanti, infatti, furono gli orizzonti immaginati dai nostri avi una volta riusciti nel loro intento.
La carenza d'acqua fu per secoli un grave cruccio patito da tutta la popolazione che con essa avrebbe risolto non solo le quotidiane necessità, ma soprattutto avrebbe potuto dar vita a numerose attività produttive che sicuramente avrebbero rianimato la desolata economia del paese, cambiando forse il corso della sua storia.
L'acqua, che ha sempre avuto un ruolo determinante nello sviluppo storico dell'umanità, avrebbe potuto operare una svolta decisiva, dando inizio ad una nuova era: si sarebbero potuti intraprendere vantaggiosi mestieri sia artigianali che industriali, creando cartiere, impianti per la lavorazione della lana, del lino e della canapa, con apparati come le gualchiere, macchine per la follatura dei tessuti di lana e per la concia delle pelli (2). E' evidente come tutto ciò avrebbe dato un nuovo preponderante impulso allo sviluppo economico del paese, portando trasformazioni di grande rilievo: il piccolo borgo da centro esclusivamente rurale avrebbe mutato i suoi orientamenti, indirizzando le sue scelte politiche anche verso attività artigianali, offrendo nuove possibilità di occupazione e portando in breve tempo il paese ad alti livelli di benessere.
Tutto ciò avevano in animo di realizzare i nostri antenati quando nel 1612, per la prima volta, presero seriamente in considerazione la possibilità di condurre in Farnese le copiose acque di S. Martino (oggi la Botte).
I corsi d'acqua di cui la popolazione di Farnese si servì per soddisfare le quotidiane esigenze, furono il fiume Olpeta, distante da Farnese circa 4 chilometri, sfruttato unicamente per scopi industriali: lungo il suo corso vi erano costruiti i mulini per i cereali, azionati dalla forza motrice della acque (3). Per usi domestici invece fu a lungo utilizzato l'esiguo "fosso della Ragnara", posto a nord-est dell'abitato, distante circa 150 metri ma ubicato in un luogo molto scomodo, era inoltre, come lo è ancora oggi, poco più che un rigagnolo spesso in secca (4).
L'altro corso d'acqua, un ruscello affluente dell'Olpeta chiamato "fosso di Gressa", veniva anch'esso sfruttato prevalentemente per risolvere le quotidiane necessità domestiche; distante dall'abitato circa 3 chilometri, era situato in una località molto scomoda da raggiungere a causa della scarsa viabilità delle strade e della forte e accidentata discesa che si doveva percorrere per raggiungere tale luogo (vds. appendice doc. doc. XV ).
Tuttavia le donne si recavano al "fosso di Gressa" quotidianamente per il bucato e per attingere l'acqua dalle fresche sorgenti che qui scaturiscono, per poi tornare al paese portando in testa pesanti fardelli: o brocche colme d'acqua, o mastelli con dentro la biancheria lavata.
Sempre più gravi e disastrose erano dunque le condizioni in cui versava la popolazione di Farnese a causa della mancanza di un corso d'acqua nelle vicinanze del nucleo abitato.
Molte in realtà erano le sorgenti che si trovavano in prossimità del paese, - come del resto è ancora oggi -, ma tutte di scarsa capacità o discontinue, legate all'andamento del clima e delle stagioni, per cui nessuna di portata tale da essere presa in considerazione per un eventuale condotto.
Nonostante ciò nel 1567, il Consiglio (5), a causa delle precarie condizioni del paese, decide, "... con bona licentia, et consenso dello Illustrissimo Signor fabio farnese..." (6), di condurre una di queste deboli sorgenti nei pressi dell'abitato.
La vena vicinissima a Farnese era chiamata "acqua de nempe o de nepe" (7).
Questo primo tentativo, per altro riuscito, lo troviamo ampiamente documentato nei Consigli della fine del 1500 (vds. appendice doc. I e doc. II) conservati nell'Archivio Comunale di Farnese.
Con la realizzazione di questo condotto si riuscì ad avere un esiguo approvvigionamento d'acqua nelle vicinanze del paese, appagando e risolvendo almeno in parte i desideri e i bisogni della popolazione evitando la grave scomodità di recarsi lontano dei chilometri per attingere l'acqua.
L'attenta lettura della documentazione reperita ha permesso di risalire alla precisa individuazione di questa sorgente anche se indispensabili e chiarificatrici sono risultate le ricognizioni condotte sul territorio.
Il toponimo Nempe o Nepe è oggi completamente scomparso dal nostro dialetto, neanche i più anziani conservano più la memoria di questo nome.
La sorgente scaturisce in località "fosso della Galeazza" ed è oggi conosciuta semplicemente come la sorgente del Bottino o come la galleria della Galeazza.
Fatta questa breve premessa. è facile dedurre quale stato degradante e scomodo i nostri avi erano costretti a vivere; è per questo crescente disagio che il 25 gennaio 1567 il Consiglio diede incarico di scavare una galleria che portasse "lacqua de nempe" al Bottino.
Lo scavo venne affidato a un certo "Orlando del pisano" che si impegnò a completare il condotto nel termine di due anni, dopo di che se il lavoro per qualsiasi motivo non fosse stato portato a termine, l'appaltatore avrebbe dovuto non solo restituire il denaro pattuito per il lavoro svolto, ma anche rimborsare le spese sostenute dalla Comunità di Farnese (8).
Nonostante questo accordo a dir poco strano e pericoloso per l'esecutore del lavoro, l'ingegno ebbe buon esito, si trova infatti notizia "... della fontana cavata da orlando ...", nel Consiglio del 29 ottobre 1570, dove si parla del lavoro, ormai terminato, mancante solo delle ultime piccole opere di completamento (9).
Ma a poco servì questo "cavo": la sorgente, quella convogliata al fontanile del Bottino, fu appena sufficiente a soddisfare le necessità domestiche della popolazione.
Dobbiamo ora far chiaro sulla precisa ubicazione della sorgente denominata "nempe" situata a nord-est di Farnese, distante circa un chilometro.
Percorsa la ripida salita che dal "Bottino" porta fino alla "Galeazza", ci troviamo nell'ampio spazio antistante gli antichi edifici (10)Lasciata la strada che attraversa tutto l'appezzamento terriero, valicato un muretto tra cespugli di rosmarino e piante selvatiche, si taglia per il campo, un vasto prato pianeggiante che improvvisamente declina in una brusca discesa. Giunti nella vallata davanti a noi è la macchia. Seguiamo il sentiero: Questo si insinua nel bosco, degrada in una scoscesa pendenza e quindi lentamente torna ad essere pianeggiante.
Lasciato nuovamente il viottolo, risaliamo qualche passo verso sinistra, dove si apre una enorme grotta scavata nel tufo: è qui che scaturisce la sorgente una volta chiamata Nempe.
Quasi impercettibile è il fruscio dell'acqua che sgorga, è necessario ascoltare in silenzio tanto esile è la sua voce. Sopra di noi la rupe, immutabile e ineguale nel suo aspetto, a tratti franata a tratti sfaldata dalle radici dei lecci che riescono piani piano a scalzare enormi massi che sembrano appesi nel vuoto.
Da una fenditura aperta nel piano della grotta si può vedere la sorgente che sgorga e che si immette in un cunicolo, il quale attraversa in senso longitudinale tutta la località della Galeazza, convogliando le acque al fontanile del Bottino.
Nelle pareti dell'antro si aprono due grandi gallerie che forse servivano a captare altre vene d'acqua per arricchire la portata della scarsa sorgente.
Continuiamo l'escursione: fiancheggiamo la grotta e avanziamo a fatica attraverso un sentiero appena riconoscibile tra la vegetazione rigogliosa e selvaggia. Ci inerpichiamo sul pendio della macchia tra querce secolari, arbusti e rovi, fino ad arrivare alla sommità. Per questo abbiamo dovuto aprire un nuovo passo a colpi di falce, perché sempre difficili sono i percorsi in simili luoghi abbandonati.
In questo tratto di macchia, accidentato e difficile da raggiungere, appena sopra la sorgente, sono visibili sagome scolpite nei tufi, che, disseminati un po' dappertutto, affiorano tra la fitta vegetazione: resti di statue e antiche panchine modellate nei massi. Ben poco vi è rimasto. Molto ha influito l'azione del tempo, molto di più ha potuto l'azione devastatrice dei "soliti ignoti" arrivati anche qui, in questo luogo dimenticato da tutti ma non da loro.
Sono evidenti e riconoscibilissimi i tagli fatti sui grandi blocchi tufacei da dove sono state asportate le sculture: I massi mutilati testimoniano questi atti vandalici.
Chi ha avuto la fortuna di vedere questo luogo prima che venisse saccheggiato, e ciò risale a non molto tempo fa (1970 ca.), ci ha descritto le sculture mancanti e che ovviamente erano le più belle e le più singolari - soprattutto le meglio conservate - finite ad ornare chissà quale lontano giardino.
C'erano dunque una gorgone, ermetica e penetrante, una sirena, un simbolo di bellezza e di seduzione, l'immagine di un pastore con ai piedi un agnello: figure intrise di simbolismi e di mistero, personaggi mitologici che nella tarda epoca rinascimentale venivano utilizzati per ornare giardini e parchi.
I "soliti ignoti", sempre a caccia di facili ma futui guadagni, non ne hanno certo trovati in questo luogo, perché tali sculture non sono opere d'arte di particolare pregio e sicuramente magri sono stati i profitti ricavati: hanno solamente contribuito a cancellare una interessante e inusuale pagina della nostra storia.
Svolta una sommaria ispezione in questo luogo desolato, il primo pensiero che ci sovviene è il paragone di questi resti con parchi e fontane rinascimentali che numerosi esistono nel territorio circostante. Per citare alcuni esempi di giardini all'italiana, che nel XVI secolo rappresentarono una vera e propria moda di gusto prevalentemente classico, possiamo ricordare gli incantevoli giardini di Villa Lante a Bagnaia, di Villa Farnese a Caprarola e soprattutto il "parco delle meraviglie", famoso in tutto il mondo per le sue inconfondibili peculiarità: il Bosco di Bomarzo (11).
Le statue di Farnese presentano (o meglio presentavano, prima che venissero trafugate) delle affinità con le sculture di Bomarzo per quel che riguarda le figure mitologiche e arcane rappresentate. Inoltre non bisogna dimenticare che la famiglia Farnese era strettamente imparentata con gli Orsini, signori di Bomarzo, infatti, Giulia Farnese, figlia di Galeazzo I, andò in sposa a Pier Francesco Orsini, colui che fu l'ideatore del "Sacro Bosco".
Mentre non è possibile avanzare dei paragoni tra i resti di Farnese e le suggestive impressioni create da queste raffinate opere architettoniche, è invece possibile fare dei riferimenti con un altro parco esistente nel limitrofo territorio toscano: il parco Orsini di Pitigliano, detto anche "Poggio Strozzoni" (12).
>Questo giardino rinascimentale, ubicato a nord-est dell'abitato /come pure i resti di quello di Farnese), ha mantenuto quasi immutato il suo aspetto morfologico; la sua vasta e sgombra estensione potrebbe ancora permettere di rilevare gli originari tracciati dei sentieri e dei vialetti che si intrecciavano e davano accesso ad angoli ombrosi e nascosti, a tranquille oasi affacciate su spaventosi strapiombi.
>Come per Farnese, anche in questo luogo le panchine e le statue sono poste sul ciglio del dirupo. Bisogna però precisare che il sito ritrovato a Farnese, non rivela, almeno apparentemente, una superficie e un perimetro delimintato e riconoscibile, che potrebbe far pensare ad un giardino con un suo preciso assetto architettonico, con percorsi e vialetti, anche perché ciò non appare possibile data la struttura geologica del luogo che non l'avrebbe permesso.
I resti infatti, costeggiano il ciglio del bosco, oggi franato, un tempo molto probabilmente sistemato con ampi terrazzamenti, ma certo non così ampi da permettere la creazione di un giardino all'italiana con precisi percorsi e sentieri. Tuttavia dal confronto delle due aree appare che la loro conformazione territoriale è molto simile: un vasto pianoro, poi il declivio e infine sul ciglio del dirupo le statue e le panchine.
Si può quindi ipotizzare che i resti rinvenuti a Farnese siano le estreme propaggini di una più vasta e complessa struttura architettonica ormai cancellata e non certo recuperabile dato che l'attiguo terreno è da sempre coltivato. Numerose sono dunque le analogie che questi due luoghi presentano: da non trascurare è anche il tipo di materiale usato per le sculture. Mentre per le statue del viterbese le figure sono plasmate in peperino, pietra diffusissima in quelle zone, per Farnese e Pitigliano, si tratta invece dell'utilizzazione di enormi blocchi tufacei affioranti dal suolo.
Anche se non ci è pervenuta alcuna notizia archivistica che documenti l'esistenza di un giardino del tardo Rinascimento in Farnese, molteplici sono i segni e le sfumature che ci inducono a pensare con sempre maggiore convinzione ad una tale evenienza.
Terminata questa interessante escursione, ripercorriamo il sentiero del bosco e il fianco ondulato della collina. L'odore soffuso della terra rende il paesaggio magico e infinito; risalita la china, davanti a noi si intravede spuntare all'orizzonte, dal folto argento degli ulivi, il piccolo borgo: il campanile, la chiesa, la rocca e le case, una a ridosso dell'altra, sagome che da così lontano appaiono appena abbozzate, distinguibili solo da chi è nato e vissuto in quelle contrade poste nel cuore del paese.
Sono queste le immagini di oggi nella continuità di un paesaggio apparentemente rimasto immutato che pure ha registrato il susseguirsi degli avvenimenti che hanno segnato il cammino del nostro popolo nella sua lenta ma costante crescita sociale e culturale.


II.
"...far cartiere, valchiere, arte di lana et altro..."

Riprendiamo il filo della cronaca antica così come ci appare delineata dalle carte del nostro archivio, "testimone del tempo".
Condotta "L'acqua de Nempe" al Bottino, dove ancora oggi esiste la fonte, la tenacia della nostra gente non abbandonò l'idea di poter fare ancora di più, lavorando instancabilmente per riuscire a portare una sorgente più abbondante nel centro abitato.
Si giunge così ai primi tentativi, del tutto infruttuosi, di costruire un acquedotto.
La prima notizia di questa intenzione appare negli "Atti Consiliari 1578-1613" e porta la data dell'11 gennaio 1612 (1).
In questo documento è chiaramente delineato l'intento di condurre le abbondanti acque di "San Martino" in Farnese, non solo per risolvere le quotidiane esigenze domestiche; anzi ciò è posto addirittura in secondo piano, subordinato ad una unica sostanziale finalità, quella di poter creare - una volta riusciti nella realizzazione dell'acquedotto - ogni tipo di struttura idraulica (mulini, officine di fabbro, opifici vari), nelle immediate vicinanze dell'abitato e dare così un notevole incremento allo sviluppo economico del paese.
Risalgono, probabilmente a questo periodo le prime opere realizzate per tale impresa e cioè la costruzione di un muro di recinzione edificato attorno alla sorgente e la realizzazione della botte di allacciamento o di presa per il futuro acquedotto: da qui l'origine del nome della località ancora oggi conosciuta come "la Botte" (2).
Riunito il Consiglio e esaminata la precaria e ormai nota situazione a causa della scarsità dall'acqua nelle vicinanze del paese, i Priori, al fine di reperire il denaro sufficiente per tale opera, decisero di "vendere l'affitto" di alcune bandite (3) per nove o più anni (vds. appendice doc. IV), deliberando anche la vendita dell'affitto delle bandite del Lamone, cedendole ad un prezzo maggiorato ai forestieri, mentre sino ad allora erano state affittate esclusivamente alla popolazione di Farnese, privilegio concesso da Galeazzo II Farnese il 30 novembre 1572 (4).
Mentre il Consiglio era alle prese con i gravi problemi economici nel tentativo di risanare le esauste casse della Comunità, gli anni passavano e tutto questo rimaneva solo un buon proposito, fino al 1617, anno in cui iniziarono realmente i lavori, non senza notevoli difficoltà economiche.
Non si trattava infatti di scavare una galleria breve come quella che dalla Galeazza conduceva al bottino, bensì di costruire un vero e proprio acquedotto, una autentica opera di ingegneria idraulica. Inoltre la ricca sorgente da incanalare questa volta era quella di "San Martino" , altrimenti detta del "Paradiso", oggi chiamata "la Botte", distante da Farnese circa 4 chilometri. Quattro lunghi chilometri di percorso accidentato posto tra colline e fossi, tra poggi e burroni; l'asperità del territorio fu in effetti l'ostacolo principale che si frappose al completamento dei lavori.
Nel 1618 ebbero inizio i veri e propri scavi per le gallerie e i pozzi, come si legge nei "Patti Capitoli et Conventioni", stipulati tra la Comunità di Farnese e i mastri che si impegnavano nella costruzione dell'acquedotto (5).
Questi avevano già "cavato" pozzi e condutture per l'acquedotto di Toscanella (l'odierna Tuscania) e promettevano di portare a termine il lavoro ad opera d'arte: soprintendeva l'opera un certo "Mastro Cherubino Architetto", di cui si ha notizia grazie al reperimento di una ricevuta di pagamento (6).
I lavori proseguirono per tre anni, con l'impegno di somme considerevoli, tanto da condurre Mario Farnese (7) sull'orlo del fallimento.
In una nota anonima conservata nell'Archivio Comunale di Farnese, si legge: "Il buon duca Mario, pochi giorni prima della sua morte, con lettera da Roma del 1 marzo 1619, comunicava ai Priori del Comune di aver fatto prestito di scudi 200, impegnando la sua argenteria per provvedere ai lavori dell'acquedotto" .
Mario Farnese, qui non a caso chiamato il "buon duca" , ebbe sempre a cuore le condizioni del suo popolo, occupandosi attivamente del benessere sociale dei suoi sudditi, come riscontriamo anche in una lettera inviata sempre ai Priori di Farnese, del 6 dicembre 1610, nella quale dice: "Io ho sempre desiderato di vedere due cose a Farnese prima della mia morte, la prima è di chiuder il borgo, e l'altra di condurci l'acqua..." (8).
Malgrado tanti sacrifici e le enormi spese sostenute per gran parte anche dalla Comunità" , i lavori vennero interrotti a causa di errori nel calcolo delle altimetrie (9).
Le speranze accarezzate per anni e che avevano sostenuto la gente di Farnese, rendendo meno deprimenti e più accettabili i gravi sacrifici affrontati, dopo questo fallimento si spensero e svanirono completamente. Nella continua e palese lotta tra l'uomo e la natura selvaggia di questi luoghi, ancora una volta le asperità del territorio e le circostanze avverse avevano avuto la meglio e sopraffatto l'uomo lasciandolo nuovamente nella sua oscura esistenza con poche gioie e continui sacrifici.
I pozzi scavati, le gallerie iniziate, i lavori di tanti anni, vennero abbandonati e lasciati incompiuti: su Farnese calò un velo di completo abbattimento morale.
Mario Farnese, da sempre attento e sensibile ai problemi del suo feudo, moriva il 7 aprile 1619 senza veder realizzato il suo antico sogno. Con la sua scomparsa terminava il prolifico periodo farnesiano.
Gli succederanno i figli Pier Francesco e Girolamo (cardinale), che giunti in età senile, senza discendenza e carichi di debiti, il 7 giugno 1658 cederanno Farnese per "scudi duecento settanta cinque mila" al cardinale Flavio Chigi (10). Con la morte di Pier Francesco (1662) e di Girolamo (1668), si estinguerà il ramo di Latera della famiglia Farnese.
Successivamente Farnese viene dichiarato Principato da Papa Alessandro VII Chigi che investì di tale titolo il nipote Agostino.
Malgrado i negativi risultati raggiunti nella costruzione dell'acquedotto, si può affermare in ultima analisi che il periodo farnesiano portò notevole incremento per il paese, lasciando segni tangibili di operosità soprattutto per quel che riguarda le opere architettoniche realizzate: modeste ma di pregevole fattura, sono di questo periodo la chiesa di Sant'Anna (11), il Convento dei frati Minori di Sant'Umano (12). "...fu ampliata la Rocca Ducale e dotata di un nuovo corpo si fabbrica verso la piazza della chiesa, di pregevole architettura per la quale si sono fatti da molti i nomi del Sangallo e del Vignola. Fu costruito il viadotto su archi dalla Rocca alla Selva... Nel 1615 l'architetto Smoraldi costruì la porta del paese e se ne fece un'altra sotto Cortinaro verso Castro detta di San'Angelo" (13).
Sotto i Chigi il paese dovette registrare un generale regresso economico e urbanistico (fu edificato il palazzo Ceccarini, attuale sede Municipale) e si mostrò scarso interesse per l'acquedotto. Ci si occupò esclusivamente della piccola fonte del Bottino. Nel 1721 vennero realizzati i lavori di sistemazione e manutenzione dell'ormai vetusto fontanile del Bottino, le cui acque furono incanalate in tubi di piombo (14).
Sul finire dello stesso secolo si tentò di imbrigliare altre sorgenti che avrebbero dovuto confluire al "bottino pubblico", ampliando l'esigua portata della sorgente ubicata nel "fosso della Galeazza". Ma l'operazione non riuscì (15).
L'epoca chigiana ci appare come un lungo periodo di stasi; infatti, anche se tutto il XVIII secolo fu caratterizzato dall'inizio della rivoluzione industriale, "l'epoca dei lumi", non portò a Farnese alcuna innovazione e neppure aprì nuove prospettive di progresso industriale, forse anche a causa della posizione geografica del paese, già allora periferica rispetto ai centri più attivi.
Con la fine del periodo farnesiano si concludeva in qualche modo "l'epoca feudale" e, anche se i Chigi in linea di massima mantenerono gli stessi "Statuti Farnesiani", i tempi erano ormai mutati, forte era il bisogno di cambiare e ci si avviava verso eventi storici imponenti. Idee di riforma e di progresso si estesero in tutta Italia sull'eco della Rivoluzione Francese. Nel 1798 il principe Chigi perdette il feudo di Farnese che successivamente durante la dominazione napoleonica aderì alla Repubblica Romana (16).
Numerose memorie d'archivio ci offrono esaudienti notizie di questo periodo. Tra le righe di qui manoscritti ci appaiono le tumultuose trasformazioni in atto, come le ribellioni di isolati gruppi di Giacobini che però mai trovarono il completo assenso popolare.
A questo proposito abbiamo notizia di un sacerdote di Farnese, un certo Carlo Mazzieri, denunciato al Governatorato di Valentano e sospeso "a divinis" dal vescovo per aver dimostrato idee giacobine e simpatie verso la repubblica di Napoleone (17).
Il 3 marzo 1798 "...fu alzato l'Albero della Libertà in Farnese e creata la Municipalità... , tra l'entusiasmo dei Repubblicani e dei Giacobini del paese. Il "Sindaco" ora si chiamava Maire e tenne lo Stato Civile in luogo del Parroco. Ma l'ardore di qui giorni durò poco.
L'anno successivo "gli alberi della libertà" che erano stati il simbolo della rivoluzione, caddero un po' ovunque ed avvennero dure repressioni che a Farnese furono guidate dall'amministratore dei Chigi Flavio Ceccarini che, a capo di bande reazionarie, riconquistò Farnese rovesciando le istituzioni repubblicane (18).
A seguito di questa affermazione il Ceccarini poté costruire il suo palazzo sulla Piazza del paese.
Tornato Napoleone nel 1809, Farnese fu annessa al Dipartimento di Roma, Circondario di Viterbo e assegnata al Cantone di Canino (19).
Fu questo un periodo felice nel quale vennero compiute molte opere di risanamento igienico dell'abitato e venne costruito il primo cimitero fuori del paese (mentre prima dell'editto di Saint- Cloud, emanato neo 1804, le sepolture venivano effettuate in fosse comuni nelle chiese).
Nel 1814, conclusasi definitivamente la parentesi napoleonica, il papa tornava in possesso dei suoi stati e Farnese ai Chigi (20). Molte autonomie del principato erano ormai compromesse, perciò il 30 settembre 1825 il principe vendette il feudo alla Camera Apostolica per "120 mila scudi" (21).
Nonostante la breve durata della rivoluzione, il suo dominio aveva ormai travolto le vecchie strutture e gli ultimi retaggi feudali, ponendo le premesse per l'indipendenza nazionale.

III.
"...le fresche e copiose acque di San Martino..."

Si doveva attendere la metà del XIX secolo affinché il "progetto acquedotto", trascurato per lungo tempo, fosse nuovamente preso in esame.
Il processo di crisi e di rinnovamento iniziato nel 1848 era ancora in atto: furono questi gli anni delle rivoluzioni liberali e delle grandi speranze. L'Italia intera era scossa dal clima risorgimentale e violenti tumulti scoppiavano ovunque. A Roma i mazziniani approfittando della fuga a Gaeta di Pio IX, instaurarono la repubblica Romana, gli animi inquieti si riaccesero all'idea nazionale, ma l'effimera Repubblica (9 febbraio - 4 luglio) ben presto capitolò sotto la pressione dell'esercito francese.
La spaccatura che si era creata tra repubblicani e clericali era ovunque origine di disordini e di veri scontri di piazza. Anche a Farnese abbiamo vivaci testimonianze di quel periodo: il 20 febbraio 1849 si ha un acceso scontro tra i repubblicani, guidati  dal farmacista Vincenzo Donati e il pittore Pinocci e i clericali, capeggiati "da un focoso arciprete" (1), che in quegli anni era Don Giuseppe Brunelli.
E' questo un importante e delicato periodo storico che porterà ad una svolta determinante l'intera nazione.
Insieme ai mutamenti politici, si registrarono rivolgimenti sociali di grande rilievo e si avvertirono i primi profondi mutamenti anche in campo scientifico e tecnico.
Sotto la spinta dei tempi che cambiavano e dei fermenti di progresso, il 15 giugno 1853 l'Amministrazione Comunale incaricò l'ingegnere Governativo signo Zotti, capo dell'Ufficio tecnico della Delegazione di Viterbo, di redigere un progetto per condurre l'acqua della Botte a Farnese (2).
Come risulta dal dettagliato piano di lavoro corredato anche da 7 tavole esplicative, presentato all'Amministrazione il 18 ottobre 1854, l'ingegnere Zotti prese profonda conoscenza e dei luoghi e della geologia del territorio, rilevò i cunicoli, le gallerie e i pozzi rimasti incompiuti.
Nella tavola I del suo progetto, egli schematizzò gli antichi tratti dell'acquedotto, segnalando i pozzi e le gallerie già esistenti, delineando a fianco di questi un nuovo tracciato che a suo parere si sarebbe dovuto seguire al fine della completa riuscita dell'impresa.
Valutò i criteri e le tecniche adottate per l'esecuzione dei vecchi lavori e cercò di sfruttare, almeno in parte, le opere esistenti con il riutilizzo di pozzi e cunicoli (3).
Il problema del passaggio dell'acquedotto attraverso la valle dell'Olpeta venne affrontato dall'ingegner Zotti con criteri opposti a quelli applicati in precedenza. I primi tentativi partivano dal presupposto; di attuare un tracciato esclusivamente sotterraneo, con gallerie e pozzi di areazione, mentre lo Zotti impostava il suo progetto, ancora oggi maestoso oltre che tecnicamente perfetto per l'epoca, prendendo spunto dalle grandi opere di ingegneria dei Romani, maestri in simili costruzioni.
I disegni, conservati nell'Archivio Comunale, ci mostrano i ponti canali progettati, di cui il più grande era appunto quello da costruirsi per l'attraversamento della valle dell'Olpeta.
Il progetto, esteticamente valido ed apprezzabile, rimase lettera morta. La grandiosità dell'opera nel suo complesso comportava, evidentemente, un impegno finanziario notevole. A fronte di questo l'ing. Zotti aveva predisposto una perizia di spesa oltremodo limitativa, per cui le varie aste per l'appalto dei lavori andarono deserte.
Parallelamente alla costruzione dell'acquedotto, lAmministrazione aveva in mente di edificare un lavatoio pubblico che avrebbe dovuto sfruttare l'acqua di ricasco della nuova fontana, una volta giunta l'acqua a Farnese.
Di questa volontà esistono la perizia e il progetto relativo, stilati sempre dallo Zotti. Nella perizia si legge:
"...La posizione di questo lavatoio sarà a ridosso del muro castellano poco dopo la piazza del Belli, da essere alimentato con parte dell'acqua di ricasco della nuova fontana di cui si è trattato in separata perizia costruendo a tal uopo una conduttura da questo a quello lunga 61 metri da formarsi in tubi cotti denominati sopraordinari posti a stucco e rivestiti attorno di muramento grosso 30 centimetri. Il lavatoio sarà di figura rettangolare lungo 25 metri e largo 3 metri..." (4)
Quest'opera non venne mai realizzata, il lavatoio fu costruito successivamente al "Bottino".
Intanto gli eventi storici incalzavano e si susseguivano a ritmo serrato.
La Seconda Guerra d'Indipendenza e l'Impresa dei Mille, i grandi avvenimenti del '59 e del '60, che porteranno alla proclamazione del Regno d'Italia, avvenuta nel marzo del 1861, aprirono un nuovo periodo nella storia italiana. Il processo di unificazione era finalmente concluso anche se mancava ancora l'annessione del Lazio, ultimo presidio dello Stato Pontificio.
In questo clima politicamente e storicamente instabile, è facile dedurre come ogni fermento di progresso sociale si arrestasse ovunque e quindi anche a Farnese. Trascorsero anni difficili, travagliati da continui scontri tra milizie pontificie e truppe garibaldine.
Il 19 ottobre 1867 ebbe luogo a Farnese una cruenta battaglia tra Zuavi e Camicie Rosse (5).
Dopo queste tumultuose vicende, l'Italia muove i primi passi come nazione indipendente ed unita, inizia la lenta ma incessante ripresa sociale ed economica, accompagnata da un impetuoso progresso tecnico e scientifico.
A Farnese il risveglio; di quegli anni poneva di nuovo in primo piano il "problema acquedotto" che ormai si trascinava senza alcuna soluzione da secoli.
Nel 1881 l'Amministrazione retta dal Sindaco Pietro Castiglione (6) incaricava l'ingegner Giovanni Iecini di rivedere e modificare il progetto Zotti, formulando nuove e meno grandiose proposte, affidandogli anche la redazione del progetto della mola per cereali.
L'ingegnere Iecini elaborò e modificò tale progetto; questo non venne approvato dal Genio Civile che ne rilevò molti errori tecnici.
Contemporaneamente furono fatte le analisi chimiche delle acque che risultarono ottime, oltre che abbondanti (vds. appendice doc. XIV).
Gli amministratori, si resero conto dell'impossibilità di realizzare il progetto Iecini e incaricarono quindi l'ingegner Giuseppe Badia, su segnalazione della Regia Prefettura di Roma, affinché modificasse ancora una volta l'originario progetto. Egli lo variò, tenendo in debito conto le osservazioni del Genio Civile e malgrado ciò il progetto non venne approvato. In seguito gli elaborati passarono in mano dell'ingegnere Romani: nuovamente rivisti, vennero ancora respinti dal Genio Civile.
Falliti questi tentativi, il Comune prese contatti con la Società Italiana per le Condotte dell'Acqua di Roma, incaricandola della redazione di due progetti per l'acquedotto e per il molino dei cereali.
Quest'ultima opera era importante quanto l'acquedotto perché i mulini esistenti, vitali per la popolazione, erano in uno stato precario e fatiscente, oltre che molto distanti dall'abitato. I progetti presentati dalla Società per le Condotte dell'Acqua vennero approvati dal punto di vista tecnico ma non certamente per i costi di spesa che risultarono esorbitanti. Il Comune dopo tanti inconcludenti tentativi, il 6 novembre 1884 affidava all'ingegnere Cesare Tuccimei, l'incarico di redigere i progetti di costruzione dell'acquedotto e del mulino per cereali.
Il primo progetto presentato, naturalmente, fu quello per l'acquedotto e porta la data del 19 giugno 1885 .
L'ingegnere Tuccimei esaminò tutti i progetti fino ad allora elaborati e condusse sopralluoghi sul territorio lungo l'antico percorso scavato nel XVII secolo. Presa conoscenza dei luoghi nei quali avrebbe dovuto operare, redasse il suo progetto, orientando le sue scelte e le sue proposte coadiuvato dagli altri piani che mai avevano avuto seguito.
Nella sua relazione è detto che il nuovo tracciato da lui eseguito, in linea di massima non si discostava molto dai tracciati disegnati in precedenza.
Finalmente il progetto venne approvato sia dal Comune che dal Genio Civile, pertanto l'amministrazione contrasse un mutuo con la Cassa Depositi e Prestiti e provvide all'appalto dei lavori che venne aggiudicato il 15 aprile 1886 all'impresa Boschi di Viterbo.
Il preventivo di spesa, redatto dall'ingegnere, fu di £.97.153,50 per l'opera, e di £. 4.854,36 per il serbatoio e £. 5.000,00 per la costruzione della fontana di mostra per un totale di £.107.013,86 (7).
Il Consiglio Comunale, nella seduta del 4 aprile 1886 (delibera n. 21, vds. appendice doc. XVI), nominava l'ingegnere Tuccimei direttore dei lavori dell'acquedotto, con la clausola che lo stesso avrebbe dovuto seguire costantemente i lavori, rimanendo in Farnese ed in sua assenza si sarebbe dovuto far sostituire da un ingegnere gradito al Consiglio.
Tuccimei accettava e nominava suo assistente l'ingegnere agronomo Giuseppe Nocelli di Viterbo.
I lavori ebbero immediato inizio. Dopo qualche mese dall'avvio dell'opera l'ingegnere Nocelli morì per una malattia contratta sul lavoro, l'8 settembre 1886, all'età di 20 anni, come risulta dall'atto di morte registrato nello Stato Civile del Comune di Farnese (8).
Venne seppellito nel cimitero locale, dove esiste ancora una lapide commemorativa. Il suo posto fu preso dall'ingegnere Gondret (9).
I lavori proseguivano freneticamente, gli operai lavoravano senza soste. Per non interrompere i lavori vennero costituite delle squadre di operai che lavoravano costantemente, a turni di otto ore, sia di giorno che di notte. Il 17 febbraio 1887 avvenne l'incontro nella grande galleria di Naiella. L'altra galleria fu completata nel luglio dello stesso anno, quando gli operai che scavavano nella galleria sotto la galeazza e quelli che lavoravano nella galleria della Poppicciola fecero cadere l'ultimo diaframma che li separava incontrandosi sotto la località di Naviglione.
Di tutti due gli incontri venne data notizia telegrafica al Prefetto. Si conservano i telegrammi inviati dal Sindaco Pietro Moscati che, con gioia, annunciava l'avvenimento e quelli di risposta del Prefetto che si complimentava con il Sindaco.
Fu questo un importante traguardo raggiunto dalla nostra gente, la cui indole intraprendente riuscì a portare a Farnese, agli inizi del XX secolo, tra i paesi più evoluti e progrediti della nostra Provincia per le conquiste sociali raggiunte (10).
Ultimati i lavori per l'acquedotto venne costruita la fontana sulla piazza principale, su disegno dello stesso Tuccimei.
L'inaugurazione avvenne il 25 settembre 1887 e grandi furono i festeggiamenti, molti forestieri parteciparono alla gioia di Farnese.
L'affluenza fu tanto massiccia che la maggior parte di questi dovettero dormire all'aperto al Poggio della Gioma, località allora proprietà del Sindaco Moscati (11).
Affinché la vicenda rimanesse impressa nella memoria di tutti e venisse ricordata anche dalle generazioni future, lo storico evento venne immortalato; quel momento di gioia e di commozione fu fissato in una immagine che ancora oggi a distanza di un secolo non ha bisogno di commenti ed è ben presente nella memoria di tutti.
Protagonista della foto fu il popolo stesso. Gli operai e le maestranze che realizzarono l'acquedotto posarono con gli utensili di lavoro; alcuni nell'atto di sferrare l'ultima martellata, o di togliere l'ultimo chiodo.
I bambini vestiti a festa e le donne che sfoggiavano le loro brocche, pronte ad affrontare interminabile file per attingere l'acqua alla nuova fontana. In un angolo quasi in disparte, le personalità politiche, il Sindaco, qualche Consigliere, l'ingegnere Tuccimei.
Immaginiamo il fermento che questa novità dovette aver scatenato tra la popolazione, le prove e le lunghe pose a cui si sottoposero quei personaggi che oggi ci fanno sorridere, che però rappresentano lo specchio di come eravamo:
immagini inusuali che ormai appartengono al passato.
Dopo il lampo di magnesio e i discorsi di rito, il gruppo si sciolse e l'Amministrazione Comunale offrì' un banchetto alle personalità intervenute a alle maestranze che avevano portato a termine l'opera.
Il pranzo ebbe luogo alla Rocca, nei locali del Teatro (12).
Quel giorno, conoscendo bene la nostra gente, possiamo dire che per festeggiare l'acqua, il vino corse a fiumi. Si sa, "tutti i salmi finiscono in gloria", così tutte le feste finiscono in lauti pranzi e gagliardi brindisi.
La vitalità della nostra gente esplodeva nelle semplici e colorite feste paesane o in circostanze simili più che mai da celebrare.

"...E l'acqua non ci ha dato un momento di tregua..."

Il viaggio a ritroso nel tempo che stiamo per concludere ci ha condotti attraverso quattro secoli di vicende storiche, mutazioni sociali ed economiche che hanno cambiato la vita e il volto al nostro paese.
Le notizie raccolte dall'archivio svelano l'ampio affresco della nostra storia, un vasto mosaico da ricomporre seguendo il cammino tracciato dai nostri progenitori. E anche se non è facile rendere con le parole ciò che è statto vissuto dalla nostra gente, le notizie rezuperate ci aiutano a comprendere ed a conoscere eventi talvolta inediti che ci permettono un confronto tra le epoche trascorse, accentuando diversità e caratteristiche di ognuna.
Proseguiamo il nostro itinerario storico e umano e volgiamo ora una sguardo ai tempi a noi più vicini ed a ricordi che appartengono ad un passato più recente.
Gli ultimi anni del XIX secolo sono caratterizzati da una forte accelerazione dello sviluppo economico-sociale e del progresso scientifico, che produrranno intense trasformazioni che mai prima si erano verificate.
In questo periodo Farnese si trova al culmine della sua ascesa sociale.
Dopo la realizzazione dell'acquedotto seguono altre importanti opere che permetteranno l'ampliamento del paese e la sua ristrutturazione.
Le opere realizzate - già in progetto da molti anni -, furono la costruzione del mulino per cereali sito nella via di S. Magno e del pubblico lavatoio al Bottino; inoltre fu dato un nuovo definitivo assetto a Piazza Belli(1).
In tempi immediatamente successivi, l'Amministrazione Comunale acquisì alcuni orti situati per la via di S. Magno, posti all'incirca dove oggi è il giardino pubblico(2). Utilizzati in un primo tempo durante la costruzione del mulino come deposito di detriti e di materiali edili, più tardi vennero destinati ad ampliare 'attuale Piazza Vittorio Veneto (sotto colonne). La Piazza che ormai si era formata e che costituiva un'ampia aera depressa, in quanto esisteva un notevole dislivello, venne gradualmente sistemata e colmata con materiali provenienti da scavi e demolizioni sino a portare questi terreni al livello della piazza superiore (oggi Piazza Umberto I).
Le due piazza, portate allo stesso livello, divenute ormai quasi pianeggianti, ebbero un assetto del tutto simile a quello attuale, quando oltre le arcate del viadotto venne costruito l'abbeveratoio. Uno scorcio di questa piazza , in uma immagine dei primi anni del 1930, ci mostra la staticità del paesaggio, si direbbe che il tempo si sia fermato. Niente è cambiato, o così poco da non essere avvertito; solo il cartoncino della foto, sbiadito e ingiallito dal tempo, ci porta al passato e a come in realtà le cose siano cambiate, non tanto per quanto riguarda la fisionomia del paese, quanto per i mutamenti avvenuti che implicano qualcosa di più profondo: l'anima del paese è oggi irrimediabilmente mutata.
L'aspetto di piazza Vittorio Veneto divenne pressoché identico a quello attuale, quando nel 1937 venne costruita la fontana "sotto colonne", per festeggiare i cinquant'anni dell'acquedotto. Fu chiamata fontana della "Vittoria" e fu eretta al posto dell'abbeveratoio che a seguito delle trasformazioni urbanistiche si era venuto a collocare in una zona centrale del paese e che quindi, non era esteticamente adeguato all'aspetto ordinato e armonioso che si voleva dare a farnese.
Sul bordo della grande vasca venne incisa la frase: NEL CINQUANTESIMO DELL'ACQUEDOTTO SORGO AGILE E CANORA, AD ESALTARE I CADUTI DELLA NUOVA ITALIA (3).
I "caduti" erano quelli della guerra d'Etiopia e questo ci riporta agli anni del regime fascista. "L'Impero", proclamato da Mussolini nel 1936, dopo le vittorie militari di Amba Aradam, dello Sciré e del lago di Ascianghi, era al culmine della sua fortuna.
Anche Farnese, come tutta la nazione del resto, si adeguò ai tempi e al regime festeggiando e commemorando i nuovi eventi politici.
La fontana, in pietra basaltina, di stile rinascimentale fu costruita a Bagnoregio ed ebbe un costo di L. 14.000 (vedi appendice doc. XVII). Grandi furono i festeggiamenti che si protrassero dal 25 al 31 d'agosto del 1937. In questa occasione, oltre a commemorare l'importante conquista sociale dell'acquedotto, raggiunta cinquant'anni prima, vennero commemorati anche i trenta anni dell'impianto dell'energia elettrica e tutto fu fatto coincidere con la festa annuale in onore della Madonna della Pietà.
E' inutile dire che non fu la solita festa paesana, l'interminabile manifesto parla chiaro. Il programma pianificato fu vasto e ben predisposto: si riuscirono a fondere con saggezza le serie e pedanti commemorazioni di rito, intercalando coloriti giochi popolari, intrattenimenti musicali, "corse di cavalli barberi con fantino in costume". Ci chiediamo come si siano potute dimenticare simili tradizioni della nostra terra: quelle capaci combinazioni tra sacro e profano, espressione di festa e di solennità popolare, oggi più che mai apprezzate e rivalutate perché provenienti da un mondo tranquillo e da una cultura completa, con un modo di intendere la vita molto lontano dal nostro. Un mondo che è velocemente scomparso lasciando la sua traccia solo nei ricordi delle passate generazioni.
Le celebrazioni che si svolsero nell'agosto del 1937, furono dunque così eccezionali che il podestà cav. Adolfo Moscati, spedì un a lettera all'Istituto Luce, affinché inviasse degli operatori per effettuare una ripresa cinematografica il 28 e 29 d'agosto, giorni in cui la festa era al culmine. La ripresa purtroppo non avvenne a causa di impegni assunti in precedenza dall'Istituto (4).
Molte furono le personalità politiche e religiose che, invitate, intervennero alle cerimonie e ai solenni festeggiamenti, predisposti e organizzati già dall'anno precedente da "un solerte e attivo comitato" (5).
Il 28 agosto alla presenza della autorità Provinciali fu ufficialmente inaugurata la nuova fontana, benedetta dal vescovo di Pitigliano mons. Stanislao Battistelli.
Tutto il paese intanto era in fermento e si preparava ad accogliere il giorno 29 il cardinale Carlo Salotti(6) (6). Per l'eccezionale avvenimento le contrade del paese furono ornate di pennoni, di alloro e di festoni tricolori, all'entrata del paese, all'inizio di Corso Vittorio Emanuele III "...fu eretto un grande arco di verdura in stile romano e vuol essere un vero arco di trionfo che il nostro paese rurale offre al cardinale Salotti..." (7).
In previsione della enorme folla che quel giorno si sarebbe accalcata nella Chiesa Parrocchiale per assistere alla Messa celebrata dal cardinale e che certamente non vi avrebbe potuto affluire, fu predisposto un impianto di altoparlanti così che il suo discorso si sarebbe potuto ascoltare nella piazza. La solenne cerimonia fu accompagnata da pregevoli musiche eseguite con l'organo e da un orchestra di strumenti ad arco (8).
Ma nel giorno tanto atteso, una pioggia abbondante ed impetuosa, quanto inattesa, fece sfumare tutti i preparativi e le accoglienze di rito, tanto che il cronista che riporta e commenta i fatti avvenuti, sul periodico della Parrocchia "La voce del pastore" (ottobre 1937), scrive con un certo rammarico: "Un'acqua torrenziale ha cominciato a scendere con tanto impeto che ha scombussolato tutti i nostri piani. E l'acqua non ci ha dato un momento di tregua per tutta la giornata..." (9). Nonostante ciò i festeggiamenti proseguirono e la Messa fu ugualmente trasmessa dagli altoparlanti. In ricordo di quell'avvenimento, fu affissa nella Chiesa Parrocchiale questa Epigrafe:

IL 29 AGOSTO 1937 A. XV E.F.
FARNESE CELEBRANDO SOLENNEMENTE CON LA FESTA
DI
MARIA SS. DELLA PIETÀ
LA COMMEMORAZIONE CINQUANTENARIA DELL'ACQUEDOTTO
E
IL TRENTENNIO DELL'AZIENDA ELETTRICA COMUNALE
SUA EMINENZA ILL.MA IL SIGNOR
CARLO SALOTTI
ONORAVA COLLO SPLENDORE DELLA SUA PORPORA
IL NOSTRO PAESE
ED
IN QUESTA CHIESA ARCIPRETALE PARLÒ AL NOSTRO POPOLO
CHE UNANIME PROMISE
DEVOZIONE TENERA ALLA MADRE DIVINA
FEDELTÀ E AMORE
AL SOMMO PONTEFICE
IN MEMORIA DEL GRANDE AVVENIMENTO

PERCHÉ SEMPRE FARNESE SIA FEDELE
A QUESTE SOLENNI PROMESSE
D. GIUSEPPE BENIGNI ARCIPRETE PARROCO
CAV. ADOLFO MOSCATI PODESTÀ
P.P.

 

La festa proseguì fino al 31 agosto con giochi popolari, tombole, "...programmi musicali e proiezioni cinematografiche con la nuova macchina  del locale Consiglio Parrocchiale..." (10)
I semplici divertimenti, i giochi popolari bastavano a suscitare entusiasmi e allegria in tutto il paese: quell'aria profumata di festa che oggi non riusciamo più ad assaporare.
Abbiamo ripercorso così tanti anni di storia e registrato la cronaca di una conquista sociale ed economica di rilevante importanza per Farnese e, soprattutto per i suoi cittadini.
Sono essi, in fondo, i costruttori della loro civiltà e della loro crescita culturale.
I farnese, i Chigi, i Papi, i Re d'Italia sono passati... I farnesani sono ancora qui, vivono ed amano questa terra e questo paese con l'immutato attaccamento dei loro antichi progenitori.

 
 



Note tecniche sull'acquedotto di Farnese
A cura del Geometra Armando Ronca

Fin dai tempi remoti i Farnesani si adoperarono per condurre le acque potabili della sorgente "La Botte" all'interno dell'abitato.
La sorgente sgorga in una valle a Nord del Comune di Farnese e dista dall'abitato circa 5 Km.; del tipo a sfioramento i viene alimentata da una lalda superficiale.
La sua portata risulta alquanto variabile con le stagioni, raggiungendo in inverno valori di 20 l/sec, diminuendo invece fortemente d'estate tino a ridursi, nei periodi di siccità, a soli 5 / 6 l/sec.
Il terreno che separa la sorgente dall'abitato è costituito da un alternarsi di forre fra le quali assai profonda è quella entro cui scorre il fiume Olpeta.
L'attraversamento di tali ostacoli naturali ha sempre costituito, come si descriverà in seguito, il maggiore impedimento alla realizzazioni dell'opera.
Dalle notizie d'archivio risulta che nel 1617 furono iniziati i primi lavori per la costruzione dell'acquedotto, a spese della Comunità; durarono tre anni e furono seguiti e diretti dal "Mastro Architetto Cherubino".
La prima opera eseguita risulta l'allacciamento della sorgente "con una vasta cinta di mura di forma quadrata, alta cm. 40 per tre lati ed aperta sul quarto lato per lo sgorgo delle acque che andavano a versarsi nel contiguo fosso della vallata".
Vennero iniziati anche lavori per lo scavo del cunicolo il quale, partendo dalla piccola valle nella quale scaturisce la sorgente, si sviluppa tortuosamente ''sulla china del monte'', internandosi di pochi metri all'interno del monte stesso.
La sezione varia quanto il suo andamento ma può ritenersi per media un'altezza di ml. 1,80 ed una larghezza di ml  0,80. Oltrepassato il Ietto del fiume Olpeta si ritrova nuovamente il cunicolo, non più tracciato superficialmente sulla costa del monte bensì più in profondità. Per tale motivo la galleria fu costruita con il sistema dei pozzi (considerato che gli antichi intendevano realizzare una unica galleria verso Farnese, I'escavazione dei pozzi costituiva dei caposaldi plano-altimetrici dai quali poter attaccare lu scavo nei due sensi e poter estrarre le materie di risulta). Furono realizzati 12 pozzi, alcuni dei quali raggiungevano la profondità di 80 metri; I'ultimo pozzo era ubicato nella "Chiusa del Belli" e costituiva il punto fin dove erano arrivati i lavori di scavo delle gallerie.
Da una livellazione dell'antico tracciato si rileva che già al 3° " sfogatore" sarebbe stato necessario effettuare un ulteriore scavo di 30 cm. per consentire alle gallerie una pendenza del tre per mille. Oltre questo sfogatore, ad una distanza di circa 50 metri, I'andamento deIIa galleria si rialza di 40 cm. e repentinamente, dopo altri 42 metri, si abbassa rispetto alla quota della sorgente, della considerevole altezza di metri 2,53.
Di seguito la quota della galleria torna ancora a rialzarsi rispetto alla quota della sorgente a tal punto che in corrispondenza del pozzo n° 9 il fondo della galleria dovrebbe essere sbassato, per avere una corretta pendenza del  3 per mille, di metri 4,74.
Proseguendo verso Farnese ed esaminando gli ultimi tre pozzi (gli ultimi due venivano chiamati rispettivamente ''della Signora'' e ''della chiusa del Belli'') si riscontra che i medesimi furono scavati solamente per la metà della necessaria profondità. Oltre ai suddetti lavori non si ha traccia e notizia di ulteriori proseguimenti. A causa quindi di inesattezze nelle livellazioni (abbiano visto le notevoli contropendenze esistenti nelle gallerie) e per probabile mancanza di fondi, per i nostri intraprendenti avi, I'acquedotto rimase un pio desiderio.
Più volte nello stesso secolo e nel successivo 1700 la Comunità di Farnese tentò di riprendere i lavori ma "si contrapposero sempre Circostanze avverse le quali per fatalità, spesso attraversano il compimento delle grandi opere d'arte".
Le sopite iniziative si ravvivarono nel 1853 quando il Consiglio Comunale, con delibera n. 182 del 15 Agosto, incaricò I'ingegnere governativo Zotti, capo dell'Ufficio Tecnico della Delegazione Viterbese, per la redazione di un progetto teso a condurre l'acqua potabile della sorgente La Botte a Farnese.
Questo ingegnere prese una perfetta conoscenza dei luoghi e rilevò tutti gli antichi lavori in modo da sfruttare il più possibile quanto già fatto. Infatti il progetto da lui redatto prevedeva la realizzazione dell'acquedotto utilizzando le vecchie gallerie in relazione però alla ''cadente" necessaria affinché le acque avessero velocità tale da non essere deteriorate.
Per quanto riguarda I'attraversamento delle varie forre, lo stesso previde la realizzazione di ponti-canali in muratura, invece per I'abitato pensò alla costruzione di una fontana di ''mostra E d'attingimento I' in Piazza Belli e di pubblici lavatoi nelle adiacenze della Piazza.
L'acquedotto, così progettato, faceva registrare una lunghezza complessiva di m. 4613,25, un dislivello tra la sorgente e piazza del Belli di m. 22, 298, con una pendenza del tre per mille tale, cioè, da consentire una disponibilità di m. 7,26 in altezza per la realizzazione della fontana pubblica.
Come già detto I'acquedotto era costituito da cinque gallerie collegate da ponti canali. II più grande era quello necessario per I'attraversamento della Valle dell'Olpeta, da realizzarsi in muratura con due ordini di arcate per una lunghezza di m. 119 ed un'altezza di m. 25. Il costo complessivo dell'opera fu previsto in scudi romani 9.714 equivalenti a lire 52.213,66.
Tale progetto, inappuntabile dal punto di vista tecnico per I'epoca, rimase inattuato perché, pur essendo grandioso nelle idee di realizzazione delle opere, non lo eia affatto nel preventivo di spesa giudicato eccessivamente esiguo dagli appaltatori che disertarono tutti i tentativi d'appalto e quindi rimase atto d'archivio fino al 1881.
>In quell'anno gli Amministratori Comunali decisero di riesaminare il problema acquedotto ed incaricarono l'ingegnere civile Giovanni Iecini per la revisione del progetto Zotti e per la formulazione di nuove proposte per la realizzazione dell'opera.
L'ing. Iecini l'11 3.1881 presentò il suo progetto che prevedeva sostanziali modifiche a quello precedente. Variò completamente il tracciato dell'acquedotto ottenendo una galleria in più ma riducendo sensibilmente la lunghezza di ogni singola galleria; inoltre sostituì i costosi manufatti in muratura per il collegamento delle gallerie con dei sifoni tubolari.
I tubi erano previsti in terra cotta, lisci smaltati internamente aventi il diametro interno di cm. 21, la lunghezza di cm. 50 e lo spessore di cm. 5. Secondo i dati desunti dal progetto la sorgente aveva una portata di 24 l/sec.; la lunghezza complessiva dell'acquedotto era di m. 5112 e quindi con la pendenza del tre per mille l'acqua avrebbe avuto una velocità di 0,32 m/sec. ed avrebbe impiegato, per giungere dalla Botte a Farnese 4 ore e 53 minuti.
II dislivello tra la sorgente e la piazza risultava di m. 21,65; il costo dell'opera di L. 75.000,00.
>Questo progetto pur vantaggioso rispetto a quello dell'ing. Zotti, non venne approvato dal Regio Genio Civile che riscontrò errori per quanto riguardava gli scavi e la posa dei tubi.
L'Amministrazione Comunale con delibera n. 23 del 14.10.82 prese atto dell' impossibilità di realizzare il progetto dell'ing. Iecini e, su indicazione della Prefettura di Roma, incaricò I'ing. Giuseppe Badia affinché rettificasse il progetto lecini e facesse quanto altro necessario perché il progetto venisse approvato dal Genio Civile. L'ing. Badia modificò completamente il progetto Iecini tenendo conto delle osservazioni fatte in precedenza dagli organi di controllo, ma anche così modificato il progetto non fu ritenuto meritevole di approvazione.
Successivamente l'ing. Romani di sua iniziativa chiese al Comune di poter elaborare un proprio progetto ed il Comune accordò.
Nel progetto era inserita una notevole innovazione relativa alla sostituzione dei tubi in cotto con altri in ghisa; ciò nonostante il genio civile non lo approvò e I'ing. Romani più volte sollecitato dal Comune ad apportare le modifiche al progetto, non provvide alla rettifica dei propri elaborati.
Dopo questi tentativi il Comune di Farnese entrò in trattative con la Società Italiana per le Condotte d'Acqua con sede in Roma e la incaricò alla redazione di un progetto per la costruzione del pubblico acquedotto e del molino per la macinazione dei cereali. La Società presentò il progetto in data 3.9.1884.
L'ingegnere che lo firmò fece numerose considerazioni sui progetti precedenti e si soffermò soprattutto sul tracciato proposto dall'ing. Iecini dal quale trasse spunto.
Dalla relazione tecnica si rileva: "... decisi di modificare il progetto lecini allo scopo di diminuire possibilmente la lunghezza totale dell'acquedotto e di sboccare con le gallerie ad un livello adeguato sui burroni che si attraversano.
Esclusi fin da principio condutture in terra cotta perché I'esperienza di questi ultimi anni non incoraggia a costruirne ... ho creduto meglio progettare una conduttura in ghisa che partendo dalla Botte si sviluppa a sinistra del fosso omonimo ... tra una galleria e I'altra invece dei ponti in muratura sarebbero poste delle condutture forzate in ghisa munite di rubinetto cli scarico nel punto più basso. La fontana di mostra e d'attingimento e I'abbeveratoio verrebbero costruiti in pazza Belli e da essi I'acqua passerebbe in un molino a grano, che il Comune intende di costruire e quindi per I'irrigazione degli orti nella valle sottostante ... il molino nell'abitato è anche un bisogno sentito della popolazione che ora deve portare i cereali a macinare in una mola che trovasi a tre Km. di distanza ... la quantità d'acqua che si conduce in Farnese è di 20 l/sec. ed ammesso che 2 I/sec. vadano consumati per gli usi civili e personali in ragione di 57 litri per abitante al giorno rimangono sempre 18 l/sec. per essere impiegati come forza motrice..."
Dai calcoli dell'ingegnere si riscontra che per macinare 200 Kg. di cereali all'ora sarebbe occorsa una quantità d'acqua pari a 37 l/sec. Considerato che dell'acqua della sorgente si poteva disporre di soli 18 I/sec., sarebbe stato necessario costruire un serbatoio di accumulo della capacità tale da fornire i mancanti 19 l/sec. L'acqua si sarebbe accumulata nelle ore di inattività del molino; la capacità del serbatoio dovrebbe essere stata di 324 mc. e, quindi, nella giornata il molino avrebbe potuto macinare per 10 ore e siccome sarebbero occorse altre 10 ore e mezzo per riempire due volte il serbatoio, per molire i 20 Q.li il molino avrebbe iniziato a macinare alle 5 del mattino per finire alle 8 ed un quarto di sera in modo da far riempire il serbatoio nella notte, per ricominciare il giorno successivo.
In un anno con il nuovo molino si sarebbero potuti macinare 7.000 quintali di cereali. Considerato che ai Comuni di Farnese ed Ischia ne occorrevano 12.000, si era certi che al molino non sarebbe mancato il lavoro.
L'ammontare dei lavori secondo il progetto indicato, per condurre I'acqua in Farnese, costruire acquedotto, fontana di mostra e lavatoio, era di L. 198.000 mentre per i lavori del molino L.26.000 quindi per un totale di L. 224.000.
Il Comune di Farnese con delibera n° 47 del 21.9.1884 approvava tale progetto apponendo però delle riserve circa i prezzi previsti, che risultavano veramente eccessivi rispetto a quelli dei progetti precedenti.
Probabilmente fu questo la causa che indusse il comune a sciogliere i rapporti con la società in parola ed a prendere contatti con l'ing. Cesare Tuccimei.
Il Comune con nota del 6.11.1884 affidava all'ing. Tuccimei l'incarico di compilare un progetto per fornire il paese d'acqua potabile e per costruire un molino. I progetti furono presentati il 5.6.1885.
In pratica il progetto dell'ing. Cesare Tuccimei, che è poi quello che venne realizzato, prevedeva: "... pel tracciato non ci siamo scostati di gran lunga dal progetto antecedente, che era pure in massima, quello dello lecini. Le acque della Botte, entro tubature metalliche, dalla valle della sorgente piegando su quella delI'Olpeta, attraverseranno questo corso d'acqua sul ponticello della Via del Lamone e quindi ascendendo, dopo 1.400 metri di percorso dalla sorgente si verseranno nella prima galleria detta "La Poppicciola" lunga m. 31. Il fosso della Poppicciola sarà attraversato con altro piccolo sifone lungo m. 51,13. Succederà a questa la grande galleria della "Naiella", la più importante opera dell'acquedotto, giacché la Iunghezza tra i punti estremi è di metri 1.778. Il tracciato di questa non è completamente rettilineo, ma a m. 1.394 dall'imbocco superiore piega a sinistra con un angolo di 146° 20' per avere sbocco dall'altro estremo sulla sponda destra del fosso di "Naviglione"... le due ultime gallerie tra il fosso di Naviglione e quello della Galeazza e tra questo e quello della Ragnara sono lunghe rispettivamente m. 394 e m. 428 e potranno ancora per brevità essere attaccate ad un tempo da ambedue gli imbocchi estremi. I sifoni sui tre suddetti fossi hanno una lunghezza sviluppata di m. 131,03 - 109, 64 e 227,55. L'importo dell'opera è di L. 97. 153,50; L.4.854,36 per il serbatoio; L. 5.000,00 per lu fontana di mostra, per un totale di L. 107. 013, 86..."
Finalmente il progetto redatto dall'ing. Cesare Tuccimei veniva approvato sia dal Comune che dal Genio Civile. Pertanto il Comune reperì i fondi contraendo un mutuo con la Cassa Depositi e Prestiti e provvide all'appalto che venne aggiudicato il 15 Aprile 1886 all'impresa dell'ing. Boschi di Viterbo per l'importo di L. 105.970,86.
Il  Consiglio  Comunale  con  delibera n°  21  del  4  Aprile  1886  affidava all'ing. Cesare Tuccimei la direzione dei lavori del pubblico acquedotto.
Il capitolato d'appalto prevedeva, per l'ultimazione dei lavori, di impiegare massimo 21 mesi, mentre per quanto riguarda l'esecuzione degli scavi in galleria: "... sarà obbligo dell'imprenditore di dar principio all'iscavazione di ambedue gli imbocchi sui quali non dovrà mai arrestarsi il lavoro né di giorno né di notte continuando mediante tre mute di operai della durata dei lavori di 8 ore ciascuna...".
I lavori furono ultimati in soli 18 mesi e quindi I'acquedotto venne inaugurato e diventò funzionante.
Nel corso degli anni, per mutate esigenze igieniche sono stati eseguiti i lavori relativi alla distribuzione dell'acqua a livello urbano, dapprima sfruttando la cadente che offriva il serbatoio ubicato dietro la fontana di mostra e, successivamente, tramite la costruzione di un serbatoio piezometrico in loc. "Cappuccini'' alimentato da una stazione di pompaggio adiacente la fontana di mostra in Piazza Umberto I (già Piazza del Belli).
Non essendo più sufficienti le acque della sorgente Botte per gli usi civili ed industriali, fu captata I'acqua del Fosso della Faggeta e condotta, tramite l' esistente tracciato e con integrazione di condutture metalliche, in Farnese utilizzandola esclusivamente a livello industriale.
>Le acque del fosso furono intubate ed immesse in galleria; le gallerie si presentavano quindi con una canaletta scoperta dove l'acqua del fosso scorreva a pelo libero e con un'altra canaletta coperta con mattoni in laterizio dove l'acqua della Botte scorreva coperta e quindi protetta igienicamente.
A causa dei facili intorbidamenti della Botte, delle sue portate irregolari e del cessato uso industriale delle acque del fosso della Faggeta, furono captate le acque deIIa sorgente Faggeta, e condotte, tramite i preesistenti manufatti, a Farnese, con lo scopo di integrare la Botte nei momenti di magra e di miscelare le acque chiare della Faggeta con quelle della Botte nei momenti di intorbidamento.
Infatti la sorgente Faggeta, anch'essa del tipo a sfioramento viene alimentata da una falda assai profonda ed ha una portata costante di circa 4 l/sec.
Nel 1981 è stato eseguito un grosso lavoro all'interno dei tunnel dove le acque che scorrevano a pelo libero, sono state immesse entro tubi in P.V.C. aventi un diametro di 200 mm., in modo che le stesse giungessero, protette da agenti esterni, dalla sorgente alla distribuzione.
Periodicamente Ie acque vengono sottoposte a controlli chimici, fisici e batteriologici per verificarne la potabilità. I risultati che si ottengono evidenziano le ottime caratteristiche chimico-fisiche dell'acqua e a volte, purtroppo, la presenza di batteri che ne alterano la potabilità.
Per ovviare a tale inconveniente si interviene a norma di legge con idonea addizione di cloro, necessario all'abbattimento dei batteri ed al mantenimento di un buon grado di igienicità della rete di distribuzione urbana. La clorazione viene effettuata in modo automatico con sofisticate apparecchiature elettroniche che per mezzo di sensori individuano I'eventuale presenza di batteri e provvedono conseguentemente ai necessari dosaggi.
Il problema dell'approvvigionamento idrico e della distribuzione a livello urbano è continuamente oggetto di studi finalizzati al più razionale ed economico utilizzo degli impianti.
Nel 1985 la stazione di pompaggio, con funzionamento meccanico azionato da un orologio tarato in base ai consumi di punta e quindi soggetta ad irrazionali consumi di energia elettrica, è stata dotata di un'apparecchiatura elettronica (ponte radio) che consente l'esercizio delle pompe in base ai bisogni effettivi, con notevoli risparmi di energia e di denaro.
Nel 1986 è stato dato incarico al Geologo Giuseppe Pagano di effettuare uno studio sulle sergenti Botte e Faggeta al fine di ottenere proposte per eliminare gli inconvenienti dovuti all'intorbidamento delle acque. Nel contempo I'ing. Francesco Treta veniva incaricato di effettuare uno studio generale per il miglioramento del sistema di distribuzione urbana. I progetti sono ancora in fase di redazione e, quindi, non si è a conoscenza delle soluzioni che verranno proposte.
Per celebrare la ricorrenza del centesimo anniversario della costruzione dell'acquedotto, l'Amministrazione Comunale ha provveduto, mediante appalto alla ditta Sabatini Giuliano, alla sistemazione e ristrutturazione della fontana di mostra in Piazza Umberto I.


Tratto da QUADERNI DELLA BIBLIOTECA COMUNALE DI FARNESE - 2
1987
Comune di Farnese - Assessorato alla cultura
Regione Lazio - Assessorato alla Cultura e Cassa Rurale ed Artigiana di Farnese.