L'ACQUA
A FARNESE:
QUATTRO SECOLI DI CRONACHE.
I.
"...dare sicuramente conducta
laqua de nempe..."
L'ambizioso progetto che la nostra gente per secoli sognò di realizzare ebbe
lunga e travagliata vita: lento e non facile fu il cammino percorso per
arrivare alla costruzione dell'acquedotto. Le alterne vicissitudini iniziarono
sul finire del XVI secolo.
E' necessaria, prima di inoltrarci
nella cronaca degli avvenimenti, una attenta analisi delle condizioni storiche
e ambientali di Farnese, ricomponendo i frammenti che ci rimangono di quel
modo di vivere e di quella società non priva di austerità,
ma retta da un ineguagliabile buon senso.
Il contesto socio-economico del
XVI secolo non è per Farnese uno spaccato di vita florida e agiata.
Siamo sul finire di un'epoca, quella rinascimentale, che tanta magnificenza
e splendore portò nei grandi centri, ma non altrettanto generosa
fu nei confronti dei piccoli borghi periferici dove miserie e povertà
regnavano incontrastate.
Il livello di vita condotto a
Farnese fu sempre piuttosto basso, le uniche fonti di reddito erano l'agricoltura
e la pastorizia, inoltre le attività più redditizie erano
monopolio del feudatario e del Comune (1).
Da non sottacere è la
possibilità che una parte della popolazione vivesse prestando i
suoi servizi come soldati mercenari, combattendo a fianco della famiglia
Farnese. E' noto, infatti, che i Farnese furono valorosi condottieri e
gonfalonieri della Chiesa.
Tali precisazioni ci sembrano
opportune al fine di individuare la giusta chiave di lettura delle vicende
storiche che più avanti incontreremo, per acquisire una visione
completa degli eventi, concepiti non come una piatta sequenza di avvenimenti
più o meno rilevanti e fini a se stessi, ma ampliando la loro valutazione,
attraverso l'analisi del contesto sociale e culturale dell'ambiente delle
trasformazioni avvenute nel corso dei vari periodi storici.
Diversamente ne risulterebbe una
visione limitata e semplicistica dei fatti che realmente avvennero: ben
più avanti, infatti, furono gli orizzonti immaginati dai nostri
avi una volta riusciti nel loro intento.
La carenza d'acqua fu per secoli
un grave cruccio patito da tutta la popolazione che con essa avrebbe risolto
non solo le quotidiane necessità, ma soprattutto avrebbe potuto
dar vita a numerose attività produttive che sicuramente avrebbero
rianimato la desolata economia del paese, cambiando forse il corso della
sua storia.
L'acqua, che ha sempre avuto un
ruolo determinante nello sviluppo storico dell'umanità, avrebbe
potuto operare una svolta decisiva, dando inizio ad una nuova era: si sarebbero
potuti intraprendere vantaggiosi mestieri sia artigianali che industriali,
creando cartiere, impianti per la lavorazione della lana, del lino e della
canapa, con apparati come le gualchiere, macchine per la follatura dei
tessuti di lana e per la concia delle pelli (2).
E' evidente come tutto
ciò avrebbe dato un nuovo preponderante impulso allo sviluppo economico
del paese, portando trasformazioni di grande rilievo: il piccolo borgo
da centro esclusivamente rurale avrebbe mutato i suoi orientamenti, indirizzando
le sue scelte politiche anche verso attività artigianali, offrendo
nuove possibilità di occupazione e portando in breve tempo il paese
ad alti livelli di benessere.
Tutto ciò avevano in animo
di realizzare i nostri antenati quando nel 1612, per la prima volta, presero
seriamente in considerazione la possibilità di condurre in Farnese
le copiose acque di S. Martino (oggi la Botte).
I corsi d'acqua di cui la popolazione
di Farnese si servì per soddisfare le quotidiane esigenze, furono
il fiume Olpeta, distante da Farnese circa 4 chilometri, sfruttato unicamente
per scopi industriali: lungo il suo corso vi erano costruiti i mulini per
i cereali, azionati dalla forza motrice della
acque (3). Per usi domestici
invece fu a lungo utilizzato l'esiguo "fosso della Ragnara", posto a nord-est
dell'abitato, distante circa 150 metri ma ubicato in un luogo molto scomodo,
era inoltre, come lo è ancora oggi, poco più che un rigagnolo
spesso in secca (4).
L'altro corso d'acqua, un ruscello
affluente dell'Olpeta chiamato "fosso di Gressa", veniva anch'esso sfruttato
prevalentemente per risolvere le quotidiane necessità domestiche;
distante dall'abitato circa 3 chilometri, era situato in una località
molto scomoda da raggiungere a causa della scarsa viabilità delle
strade e della forte e accidentata discesa che si doveva percorrere per
raggiungere tale luogo (vds. appendice
doc. doc. XV ).
Tuttavia le donne si recavano
al "fosso di Gressa" quotidianamente per il bucato e per attingere l'acqua
dalle fresche sorgenti che qui scaturiscono, per poi tornare al paese portando
in testa pesanti fardelli: o brocche colme d'acqua, o mastelli con dentro
la biancheria lavata.
Sempre più gravi e disastrose
erano dunque le condizioni in cui versava la popolazione di Farnese a causa
della mancanza di un corso d'acqua nelle vicinanze del nucleo abitato.
Molte in realtà erano le
sorgenti che si trovavano in prossimità del paese, - come del resto
è ancora oggi -, ma tutte di scarsa capacità o discontinue,
legate all'andamento del clima e delle stagioni, per cui nessuna di portata
tale da essere presa in considerazione per un eventuale condotto.
Nonostante ciò nel 1567,
il Consiglio (5), a causa delle precarie condizioni del paese, decide,
"... con bona licentia, et consenso dello Illustrissimo Signor fabio
farnese..." (6), di condurre una di queste deboli sorgenti nei pressi
dell'abitato.
La vena vicinissima a Farnese
era chiamata "acqua de nempe o de nepe" (7).
Questo primo tentativo, per altro
riuscito, lo troviamo ampiamente documentato nei Consigli della fine del
1500 (vds. appendice doc. I e doc. II) conservati nell'Archivio Comunale
di Farnese.
Con la realizzazione di questo
condotto si riuscì ad avere un esiguo approvvigionamento d'acqua
nelle vicinanze del paese, appagando e risolvendo almeno in parte i desideri
e i bisogni della popolazione evitando la grave scomodità di recarsi
lontano dei chilometri per attingere l'acqua.
L'attenta lettura della documentazione
reperita ha permesso di risalire alla precisa individuazione di questa
sorgente anche se indispensabili e chiarificatrici sono risultate le ricognizioni
condotte sul territorio.
Il toponimo Nempe o Nepe è
oggi completamente scomparso dal nostro dialetto, neanche i più
anziani conservano più la memoria di questo nome.
La sorgente scaturisce in località
"fosso della Galeazza" ed è oggi conosciuta semplicemente come la
sorgente del Bottino o come la galleria della Galeazza.
Fatta questa breve premessa. è
facile dedurre quale stato degradante e scomodo i nostri avi erano costretti
a vivere; è per questo crescente disagio che il 25 gennaio 1567
il Consiglio diede incarico di scavare una galleria che portasse "lacqua
de nempe" al Bottino.
Lo scavo venne affidato a un certo
"Orlando del pisano" che si impegnò a completare il condotto
nel termine di due anni, dopo di che se il lavoro per qualsiasi motivo
non fosse stato portato a termine, l'appaltatore avrebbe dovuto non solo
restituire il denaro pattuito per il lavoro svolto, ma anche rimborsare
le spese sostenute dalla Comunità di Farnese (8).
Nonostante questo accordo a dir
poco strano e pericoloso per l'esecutore del lavoro, l'ingegno ebbe buon
esito, si trova infatti notizia "... della fontana cavata da orlando
...", nel Consiglio del 29 ottobre 1570, dove si parla del lavoro,
ormai terminato, mancante solo delle ultime piccole opere di completamento
(9).
Ma a poco servì questo
"cavo": la sorgente, quella convogliata al fontanile del Bottino,
fu appena sufficiente a soddisfare le necessità domestiche della
popolazione.
Dobbiamo ora far chiaro sulla
precisa ubicazione della sorgente denominata "nempe" situata a nord-est
di Farnese, distante circa un chilometro.
Percorsa la ripida salita che
dal "Bottino" porta fino alla "Galeazza", ci troviamo nell'ampio spazio
antistante gli antichi edifici (10)Lasciata la strada che attraversa
tutto l'appezzamento terriero, valicato un muretto tra cespugli di rosmarino
e piante selvatiche, si taglia per il campo, un vasto prato pianeggiante
che improvvisamente declina in una brusca discesa. Giunti nella vallata
davanti a noi è la macchia. Seguiamo il sentiero: Questo si insinua
nel bosco, degrada in una scoscesa pendenza e quindi lentamente torna ad
essere pianeggiante.
Lasciato nuovamente il viottolo,
risaliamo qualche passo verso sinistra, dove si apre una enorme grotta
scavata nel tufo: è qui che scaturisce la sorgente una volta chiamata
Nempe.
Quasi impercettibile è
il fruscio dell'acqua che sgorga, è necessario ascoltare in silenzio
tanto esile è la sua voce. Sopra di noi la rupe, immutabile e ineguale
nel suo aspetto, a tratti franata a tratti sfaldata dalle radici dei lecci
che riescono piani piano a scalzare enormi massi che sembrano appesi nel
vuoto.
Da una fenditura aperta nel piano
della grotta si può vedere la sorgente che sgorga e che si immette
in un cunicolo, il quale attraversa in senso longitudinale tutta la località
della Galeazza, convogliando le acque al fontanile del Bottino.
Nelle pareti dell'antro si aprono
due grandi gallerie che forse servivano a captare altre vene d'acqua per
arricchire la portata della scarsa sorgente.
Continuiamo l'escursione: fiancheggiamo
la grotta e avanziamo a fatica attraverso un sentiero appena riconoscibile
tra la vegetazione rigogliosa e selvaggia. Ci inerpichiamo sul pendio della
macchia tra querce secolari, arbusti e rovi, fino ad arrivare alla sommità.
Per questo abbiamo dovuto aprire un nuovo passo a colpi di falce, perché
sempre difficili sono i percorsi in simili luoghi abbandonati.
In questo tratto di macchia, accidentato
e difficile da raggiungere, appena sopra la sorgente, sono visibili sagome
scolpite nei tufi, che, disseminati un po' dappertutto, affiorano tra la
fitta vegetazione: resti di statue e antiche panchine modellate nei massi.
Ben poco vi è rimasto. Molto ha influito l'azione del tempo, molto
di più ha potuto l'azione devastatrice dei "soliti ignoti" arrivati
anche qui, in questo luogo dimenticato da tutti ma non da loro.
Sono evidenti e riconoscibilissimi
i tagli fatti sui grandi blocchi tufacei da dove sono state asportate le
sculture: I massi mutilati testimoniano questi atti vandalici.
Chi ha avuto la fortuna di vedere
questo luogo prima che venisse saccheggiato, e ciò risale a non
molto tempo fa (1970 ca.), ci ha descritto le sculture mancanti e che ovviamente
erano le più belle e le più singolari - soprattutto le meglio
conservate - finite ad ornare chissà quale lontano giardino.
C'erano dunque una gorgone, ermetica
e penetrante, una sirena, un simbolo di bellezza e di seduzione, l'immagine
di un pastore con ai piedi un agnello: figure intrise di simbolismi e di
mistero, personaggi mitologici che nella tarda epoca rinascimentale venivano
utilizzati per ornare giardini e parchi.
I "soliti ignoti", sempre a caccia
di facili ma futui guadagni, non ne hanno certo trovati in questo luogo,
perché tali sculture non sono opere d'arte di particolare pregio
e sicuramente magri sono stati i profitti ricavati: hanno solamente contribuito
a cancellare una interessante e inusuale pagina della nostra storia.
Svolta una sommaria ispezione
in questo luogo desolato, il primo pensiero che ci sovviene è il
paragone di questi resti con parchi e fontane rinascimentali che numerosi
esistono nel territorio circostante. Per citare alcuni esempi di giardini
all'italiana, che nel XVI secolo rappresentarono una vera e propria moda
di gusto prevalentemente classico, possiamo ricordare gli incantevoli giardini
di Villa Lante a Bagnaia, di Villa Farnese a Caprarola e soprattutto il
"parco delle meraviglie", famoso in tutto il mondo per le sue inconfondibili
peculiarità: il Bosco di Bomarzo (11).
Le statue di Farnese presentano
(o meglio presentavano, prima che venissero trafugate) delle affinità
con le sculture di Bomarzo per quel che riguarda le figure mitologiche
e arcane rappresentate. Inoltre non bisogna dimenticare che la famiglia
Farnese era strettamente imparentata con gli Orsini, signori di Bomarzo,
infatti, Giulia Farnese, figlia di Galeazzo I, andò in sposa a Pier
Francesco Orsini, colui che fu l'ideatore del "Sacro Bosco".
Mentre non è possibile
avanzare dei paragoni tra i resti di Farnese e le suggestive impressioni
create da queste raffinate opere architettoniche, è invece possibile
fare dei riferimenti con un altro parco esistente nel limitrofo territorio
toscano: il parco Orsini di Pitigliano, detto anche "Poggio Strozzoni"
(12).
>Questo giardino rinascimentale,
ubicato a nord-est dell'abitato /come pure i resti di quello di Farnese),
ha mantenuto quasi immutato il suo aspetto morfologico; la sua vasta e
sgombra estensione potrebbe ancora permettere di rilevare gli originari
tracciati dei sentieri e dei vialetti che si intrecciavano e davano accesso
ad angoli ombrosi e nascosti, a tranquille oasi affacciate su spaventosi
strapiombi.
>Come per Farnese, anche in questo
luogo le panchine e le statue sono poste sul ciglio del dirupo. Bisogna
però precisare che il sito ritrovato a Farnese, non rivela, almeno
apparentemente, una superficie e un perimetro delimintato e riconoscibile,
che potrebbe far pensare ad un giardino con un suo preciso assetto architettonico,
con percorsi e vialetti, anche perché ciò non appare possibile
data la struttura geologica del luogo che non l'avrebbe permesso.
I resti infatti, costeggiano il
ciglio del bosco, oggi franato, un tempo molto probabilmente sistemato
con ampi terrazzamenti, ma certo non così ampi da permettere la
creazione di un giardino all'italiana con precisi percorsi e sentieri.
Tuttavia dal confronto delle due aree appare che la loro conformazione
territoriale è molto simile: un vasto pianoro, poi il declivio e
infine sul ciglio del dirupo le statue e le panchine.
Si può quindi ipotizzare
che i resti rinvenuti a Farnese siano le estreme propaggini di una più
vasta e complessa struttura architettonica ormai cancellata e non certo
recuperabile dato che l'attiguo terreno è da sempre coltivato. Numerose
sono dunque le analogie che questi due luoghi presentano: da non trascurare
è anche il tipo di materiale usato per le sculture. Mentre per le
statue del viterbese le figure sono plasmate in peperino, pietra diffusissima
in quelle zone, per Farnese e Pitigliano, si tratta invece dell'utilizzazione
di enormi blocchi tufacei affioranti dal suolo.
Anche se non ci è pervenuta
alcuna notizia archivistica che documenti l'esistenza di un giardino del
tardo Rinascimento in Farnese, molteplici sono i segni e le sfumature che
ci inducono a pensare con sempre maggiore convinzione ad una tale evenienza.
Terminata questa interessante
escursione, ripercorriamo il sentiero del bosco e il fianco ondulato della
collina. L'odore soffuso della terra rende il paesaggio magico e infinito;
risalita la china, davanti a noi si intravede spuntare all'orizzonte, dal
folto argento degli ulivi, il piccolo borgo: il campanile, la chiesa, la
rocca e le case, una a ridosso dell'altra, sagome che da così lontano
appaiono appena abbozzate, distinguibili solo da chi è nato e vissuto
in quelle contrade poste nel cuore del paese.
Sono queste le immagini di oggi
nella continuità di un paesaggio apparentemente rimasto immutato
che pure ha registrato il susseguirsi degli avvenimenti che hanno segnato
il cammino del nostro popolo nella sua lenta ma costante crescita sociale
e culturale.
II.
"...far cartiere, valchiere,
arte di lana et altro..."
Riprendiamo
il filo della cronaca antica così come ci appare delineata dalle
carte del nostro archivio, "testimone del tempo".
Condotta "L'acqua de Nempe" al Bottino, dove ancora oggi esiste la fonte, la tenacia
della nostra gente non abbandonò l'idea di poter fare ancora di più, lavorando instancabilmente
per riuscire a portare una sorgente più abbondante nel centro abitato.
Si giunge così ai primi tentativi, del tutto infruttuosi, di costruire un acquedotto.
La prima notizia di questa intenzione appare negli "Atti Consiliari 1578-1613" e porta la
data dell'11 gennaio 1612 (1).
In questo documento è chiaramente delineato l'intento di condurre le abbondanti acque di
"San Martino" in Farnese, non solo per risolvere le quotidiane esigenze domestiche;
anzi ciò è posto addirittura in secondo piano, subordinato ad una unica sostanziale finalità,
quella di poter creare - una volta riusciti nella realizzazione dell'acquedotto - ogni tipo di
struttura idraulica (mulini, officine di fabbro, opifici vari), nelle immediate vicinanze
dell'abitato e dare così un notevole incremento allo sviluppo economico del paese.
Risalgono, probabilmente a questo periodo le prime opere realizzate per tale impresa e cioè
la costruzione di un muro di recinzione edificato attorno alla sorgente e la realizzazione
della botte di allacciamento o di presa per il futuro acquedotto: da qui l'origine del nome
della località ancora oggi conosciuta come "la Botte" (2).
Riunito il Consiglio e esaminata la precaria e ormai nota situazione a causa della scarsità
dall'acqua nelle vicinanze del paese, i Priori, al fine di reperire il denaro sufficiente per
tale opera, decisero di "vendere l'affitto" di alcune bandite (3)
per nove o più anni
(vds. appendice doc. IV), deliberando anche la vendita dell'affitto delle bandite del Lamone,
cedendole ad un prezzo maggiorato ai forestieri, mentre sino ad allora erano state affittate
esclusivamente alla popolazione di Farnese, privilegio concesso da Galeazzo II Farnese il 30
novembre 1572 (4).
Mentre il Consiglio era alle prese con i gravi problemi economici nel tentativo di risanare
le esauste casse della Comunità, gli anni passavano e tutto questo rimaneva solo un buon
proposito, fino al 1617, anno in cui iniziarono realmente i lavori, non senza notevoli
difficoltà economiche.
Non si trattava infatti di scavare una galleria breve come quella che dalla Galeazza conduceva
al bottino, bensì di costruire un vero e proprio acquedotto, una autentica opera di ingegneria
idraulica. Inoltre la ricca sorgente da incanalare questa volta era quella di "San Martino"
, altrimenti detta del "Paradiso", oggi chiamata "la Botte", distante da Farnese
circa 4 chilometri. Quattro lunghi chilometri di percorso accidentato posto tra colline e fossi,
tra poggi e burroni; l'asperità del territorio fu in effetti l'ostacolo principale che si frappose al completamento dei lavori.
Nel 1618 ebbero inizio i veri e propri scavi per le gallerie e i pozzi, come si legge nei
"Patti Capitoli et Conventioni", stipulati tra la Comunità di Farnese e i mastri che
si impegnavano nella costruzione dell'acquedotto (5).
Questi avevano già "cavato" pozzi e condutture per l'acquedotto di Toscanella (l'odierna
Tuscania) e promettevano di portare a termine il lavoro ad opera d'arte: soprintendeva l'opera
un certo "Mastro Cherubino Architetto", di cui si ha notizia grazie al reperimento di
una ricevuta di pagamento (6).
I lavori proseguirono per tre anni, con l'impegno di somme considerevoli, tanto da condurre
Mario Farnese (7) sull'orlo del fallimento.
In una nota anonima conservata nell'Archivio Comunale di Farnese, si legge: "Il buon duca
Mario, pochi giorni prima della sua morte, con lettera da Roma del 1 marzo 1619, comunicava ai
Priori del Comune di aver fatto prestito di scudi 200, impegnando la sua argenteria per
provvedere ai lavori dell'acquedotto" .
Mario Farnese, qui non a caso chiamato il "buon duca" , ebbe sempre a cuore le
condizioni del suo popolo, occupandosi attivamente del benessere sociale dei suoi sudditi,
come riscontriamo anche in una lettera inviata sempre ai Priori di Farnese, del 6 dicembre
1610, nella quale dice: "Io ho sempre desiderato di vedere due cose a Farnese prima della
mia morte, la prima è di chiuder il borgo, e l'altra di condurci l'acqua..."
(8).
Malgrado tanti sacrifici e le enormi spese sostenute per gran parte anche dalla Comunità"
, i lavori vennero interrotti a causa di errori nel calcolo delle altimetrie
(9).
Le speranze accarezzate per anni e che avevano sostenuto la gente di Farnese, rendendo meno
deprimenti e più accettabili i gravi sacrifici affrontati, dopo questo fallimento si spensero
e svanirono completamente.
Nella continua e palese lotta tra l'uomo e la natura selvaggia di questi luoghi, ancora una
volta le asperità del territorio e le circostanze avverse avevano avuto la meglio e sopraffatto
l'uomo lasciandolo nuovamente nella sua oscura esistenza con poche gioie e continui sacrifici.
I pozzi scavati, le gallerie iniziate, i lavori di tanti anni, vennero abbandonati e lasciati
incompiuti: su Farnese calò un velo di completo abbattimento morale.
Mario Farnese, da sempre attento e sensibile ai problemi del suo feudo, moriva il 7 aprile 1619
senza veder realizzato il suo antico sogno. Con la sua scomparsa terminava il prolifico periodo
farnesiano.
Gli succederanno i figli Pier Francesco e Girolamo (cardinale), che giunti in età senile, senza
discendenza e carichi di debiti, il 7 giugno 1658 cederanno Farnese per "scudi duecento
settanta cinque mila" al cardinale Flavio Chigi (10).
Con la morte di Pier Francesco (1662)
e di Girolamo (1668), si estinguerà il ramo di Latera della famiglia Farnese.
Successivamente Farnese viene dichiarato Principato da Papa Alessandro VII Chigi che investì di
tale titolo il nipote Agostino.
Malgrado i negativi risultati raggiunti nella costruzione dell'acquedotto, si può affermare in
ultima analisi che il periodo farnesiano portò notevole incremento per il paese, lasciando segni
tangibili di operosità soprattutto per quel che riguarda le opere architettoniche realizzate:
modeste ma di pregevole fattura, sono di questo periodo la chiesa di Sant'Anna
(11), il Convento
dei frati Minori di Sant'Umano (12).
"...fu ampliata la Rocca Ducale e dotata di un nuovo
corpo si fabbrica verso la piazza della chiesa, di pregevole architettura per la quale si sono
fatti da molti i nomi del Sangallo e del Vignola. Fu costruito il viadotto su archi dalla Rocca
alla Selva... Nel 1615 l'architetto Smoraldi costruì la porta del paese e se ne fece un'altra
sotto Cortinaro verso Castro detta di San'Angelo"
(13).
Sotto i Chigi il paese dovette registrare un generale regresso economico e urbanistico (fu
edificato il palazzo Ceccarini, attuale sede Municipale) e si mostrò scarso interesse per
l'acquedotto. Ci si occupò esclusivamente della piccola fonte del Bottino. Nel 1721 vennero
realizzati i lavori di sistemazione e manutenzione dell'ormai vetusto fontanile del Bottino,
le cui acque furono incanalate in tubi di piombo (14).
Sul finire dello stesso secolo si tentò di imbrigliare altre sorgenti che avrebbero dovuto
confluire al "bottino pubblico", ampliando l'esigua portata della sorgente ubicata nel
"fosso della Galeazza". Ma l'operazione non riuscì (15).
L'epoca chigiana ci appare come un lungo periodo di stasi; infatti, anche se tutto il XVIII
secolo fu caratterizzato dall'inizio della rivoluzione industriale, "l'epoca dei lumi", non
portò a Farnese alcuna innovazione e neppure aprì nuove prospettive di progresso industriale,
forse anche a causa della posizione geografica del paese, già allora periferica rispetto ai
centri più attivi.
Con la fine del periodo farnesiano si concludeva in qualche modo "l'epoca feudale" e, anche se
i Chigi in linea di massima mantenerono gli stessi "Statuti Farnesiani", i tempi erano ormai
mutati, forte era il bisogno di cambiare e ci si avviava verso eventi storici imponenti. Idee
di riforma e di progresso si estesero in tutta Italia sull'eco della Rivoluzione Francese. Nel
1798 il principe Chigi perdette il feudo di Farnese che successivamente durante la dominazione
napoleonica aderì alla Repubblica Romana (16).
Numerose memorie d'archivio ci offrono esaudienti notizie di questo periodo. Tra le righe di
qui manoscritti ci appaiono le tumultuose trasformazioni in atto, come le ribellioni di isolati
gruppi di Giacobini che però mai trovarono il completo assenso popolare.
A questo proposito abbiamo notizia di un sacerdote di Farnese, un certo Carlo Mazzieri,
denunciato al Governatorato di Valentano e sospeso "a divinis" dal vescovo per aver
dimostrato idee giacobine e simpatie verso la repubblica di Napoleone
(17).
Il 3 marzo 1798 "...fu alzato l'Albero della Libertà in Farnese e creata la Municipalità...
, tra l'entusiasmo dei Repubblicani e dei Giacobini del paese. Il "Sindaco" ora si chiamava
Maire e tenne lo Stato Civile in luogo del Parroco. Ma l'ardore di qui giorni durò
poco.
L'anno successivo "gli alberi della libertà" che erano stati il simbolo della rivoluzione,
caddero un po' ovunque ed avvennero dure repressioni che a Farnese furono guidate
dall'amministratore dei Chigi Flavio Ceccarini che, a capo di bande reazionarie, riconquistò
Farnese rovesciando le istituzioni repubblicane (18).
A seguito di questa affermazione il Ceccarini poté costruire il suo palazzo sulla Piazza del
paese.
Tornato Napoleone nel 1809, Farnese fu annessa al Dipartimento di Roma, Circondario di
Viterbo e assegnata al Cantone di Canino
(19).
Fu questo un periodo felice nel quale vennero compiute molte opere di risanamento igienico
dell'abitato e venne costruito il primo cimitero fuori del paese (mentre prima dell'editto
di Saint- Cloud, emanato neo 1804, le sepolture venivano effettuate in fosse comuni nelle chiese).
Nel 1814, conclusasi definitivamente la parentesi napoleonica, il papa tornava in possesso
dei suoi stati e Farnese ai Chigi (20). Molte autonomie del principato erano ormai compromesse,
perciò il 30 settembre 1825 il principe vendette il feudo alla Camera Apostolica per
"120 mila scudi" (21).
Nonostante la breve durata della rivoluzione, il suo dominio aveva ormai travolto le vecchie
strutture e gli ultimi retaggi feudali, ponendo le premesse per l'indipendenza nazionale.
III.
"...le fresche e copiose acque di San Martino..."
Si doveva attendere la metà del XIX secolo affinché il "progetto
acquedotto", trascurato per lungo tempo, fosse nuovamente preso in esame.
Il processo di
crisi e di rinnovamento iniziato nel 1848 era ancora in atto: furono questi
gli anni delle rivoluzioni liberali e delle grandi speranze. L'Italia intera
era scossa dal clima risorgimentale e violenti tumulti scoppiavano ovunque.
A Roma i mazziniani approfittando della fuga a Gaeta di Pio IX, instaurarono
la repubblica Romana, gli animi inquieti si riaccesero all'idea nazionale,
ma l'effimera Repubblica (9 febbraio - 4 luglio) ben presto capitolò
sotto la pressione dell'esercito francese.
La spaccatura
che si era creata tra repubblicani e clericali era ovunque origine di disordini
e di veri scontri di piazza. Anche a Farnese abbiamo vivaci testimonianze
di quel periodo: il 20 febbraio 1849 si ha un acceso scontro tra i repubblicani,
guidati dal farmacista Vincenzo Donati e il pittore Pinocci e i clericali,
capeggiati "da un focoso arciprete" (1),
che in quegli anni era Don Giuseppe Brunelli.
E' questo un
importante e delicato periodo storico che porterà ad una svolta
determinante l'intera nazione.
Insieme ai mutamenti
politici, si registrarono rivolgimenti sociali di grande rilievo e si avvertirono
i primi profondi mutamenti anche in campo scientifico e tecnico.
Sotto la spinta
dei tempi che cambiavano e dei fermenti di progresso, il 15 giugno 1853
l'Amministrazione Comunale incaricò l'ingegnere Governativo signo
Zotti, capo dell'Ufficio tecnico della Delegazione di Viterbo, di redigere
un progetto per condurre l'acqua della Botte a Farnese (2).
Come risulta dal dettagliato piano di lavoro corredato anche da 7 tavole
esplicative, presentato all'Amministrazione il 18 ottobre 1854, l'ingegnere
Zotti prese profonda conoscenza e dei luoghi e della geologia del territorio,
rilevò i cunicoli, le gallerie e i pozzi rimasti incompiuti.
Nella tavola
I del suo progetto, egli schematizzò gli antichi tratti dell'acquedotto,
segnalando i pozzi e le gallerie già esistenti, delineando a fianco
di questi un nuovo tracciato che a suo parere si sarebbe dovuto seguire
al fine della completa riuscita dell'impresa.
Valutò
i criteri e le tecniche adottate per l'esecuzione dei vecchi lavori e cercò
di sfruttare, almeno in parte, le opere esistenti con il riutilizzo di
pozzi e cunicoli (3).
Il problema del
passaggio dell'acquedotto attraverso la valle dell'Olpeta venne affrontato
dall'ingegner Zotti con criteri opposti a quelli applicati in precedenza.
I primi tentativi partivano dal presupposto; di attuare un tracciato
esclusivamente sotterraneo, con gallerie e pozzi di areazione, mentre lo
Zotti impostava il suo progetto, ancora oggi maestoso oltre che tecnicamente
perfetto per l'epoca, prendendo spunto dalle grandi opere di ingegneria
dei Romani, maestri in simili costruzioni.
I disegni, conservati
nell'Archivio Comunale, ci mostrano i ponti canali progettati, di cui il
più grande era appunto quello da costruirsi per l'attraversamento
della valle dell'Olpeta.
Il progetto,
esteticamente valido ed apprezzabile, rimase lettera morta. La grandiosità
dell'opera nel suo complesso comportava, evidentemente, un impegno finanziario
notevole. A fronte di questo l'ing. Zotti aveva predisposto una perizia
di spesa oltremodo limitativa, per cui le varie aste per l'appalto dei
lavori andarono deserte.
Parallelamente
alla costruzione dell'acquedotto, lAmministrazione aveva in mente di edificare
un lavatoio pubblico che avrebbe dovuto sfruttare l'acqua di ricasco della
nuova fontana, una volta giunta l'acqua a Farnese.
Di questa volontà
esistono la perizia e il progetto relativo, stilati sempre dallo Zotti.
Nella perizia si legge:
"...La posizione di questo
lavatoio sarà a ridosso del muro castellano poco dopo la piazza
del Belli, da essere alimentato con parte dell'acqua di ricasco della nuova
fontana di cui si è trattato in separata perizia costruendo a tal
uopo una conduttura da questo a quello lunga 61 metri da formarsi in tubi
cotti denominati sopraordinari posti a stucco e rivestiti attorno di muramento
grosso 30 centimetri. Il lavatoio sarà di figura rettangolare lungo
25 metri e largo 3 metri..." (4)
Quest'opera non
venne mai realizzata, il lavatoio fu costruito successivamente al "Bottino".
Intanto gli eventi
storici incalzavano e si susseguivano a ritmo serrato.
La Seconda Guerra
d'Indipendenza e l'Impresa dei Mille, i grandi avvenimenti del '59 e del
'60, che porteranno alla proclamazione del Regno d'Italia, avvenuta nel
marzo del 1861, aprirono un nuovo periodo nella storia italiana. Il processo
di unificazione era finalmente concluso anche se mancava ancora l'annessione
del Lazio, ultimo presidio dello Stato Pontificio.
In questo clima
politicamente e storicamente instabile, è facile dedurre come ogni
fermento di progresso sociale si arrestasse ovunque e quindi anche a Farnese.
Trascorsero anni difficili, travagliati da continui scontri tra milizie
pontificie e truppe garibaldine.
Il 19 ottobre
1867 ebbe luogo a Farnese una cruenta battaglia tra Zuavi e Camicie
Rosse (5).
Dopo queste tumultuose
vicende, l'Italia muove i primi passi come nazione indipendente ed unita,
inizia la lenta ma incessante ripresa sociale ed economica, accompagnata
da un impetuoso progresso tecnico e scientifico.
A Farnese il
risveglio; di quegli anni poneva di nuovo in primo piano il "problema
acquedotto" che ormai si trascinava senza alcuna soluzione da secoli.
Nel 1881 l'Amministrazione
retta dal Sindaco Pietro Castiglione (6) incaricava l'ingegner Giovanni
Iecini di rivedere e modificare il progetto Zotti, formulando nuove e meno
grandiose proposte, affidandogli anche la redazione del progetto della
mola per cereali.
L'ingegnere Iecini
elaborò e modificò tale progetto; questo non venne approvato
dal Genio Civile che ne rilevò molti errori tecnici.
Contemporaneamente
furono fatte le analisi chimiche delle acque che risultarono ottime, oltre
che abbondanti (vds. appendice doc. XIV).
Gli amministratori,
si resero conto dell'impossibilità di realizzare il progetto Iecini
e incaricarono quindi l'ingegner Giuseppe Badia, su segnalazione della
Regia Prefettura di Roma, affinché modificasse ancora una volta
l'originario progetto. Egli lo variò, tenendo in debito conto le
osservazioni del Genio Civile e malgrado ciò il progetto non venne
approvato. In seguito gli elaborati passarono in mano dell'ingegnere Romani:
nuovamente rivisti, vennero ancora respinti dal Genio Civile.
Falliti questi
tentativi, il Comune prese contatti con la Società Italiana per
le Condotte dell'Acqua di Roma, incaricandola della redazione di due
progetti per l'acquedotto e per il molino dei cereali.
Quest'ultima
opera era importante quanto l'acquedotto perché i mulini esistenti,
vitali per la popolazione, erano in uno stato precario e fatiscente, oltre
che molto distanti dall'abitato.
I progetti presentati dalla Società per le Condotte dell'Acqua vennero approvati
dal punto di vista tecnico ma non certamente per i costi di spesa che risultarono
esorbitanti. Il Comune dopo tanti inconcludenti tentativi, il 6 novembre
1884 affidava all'ingegnere Cesare Tuccimei, l'incarico di redigere i progetti
di costruzione dell'acquedotto e del mulino per cereali.
Il primo progetto presentato,
naturalmente, fu quello per l'acquedotto e porta la data del 19 giugno
1885 .
L'ingegnere Tuccimei esaminò
tutti i progetti fino ad allora elaborati e condusse sopralluoghi sul territorio
lungo l'antico percorso scavato nel XVII secolo. Presa conoscenza dei luoghi
nei quali avrebbe dovuto operare, redasse il suo progetto, orientando le
sue scelte e le sue proposte coadiuvato dagli altri piani che mai avevano
avuto seguito.
Nella sua relazione è
detto che il nuovo tracciato da lui eseguito, in linea di massima non si
discostava molto dai tracciati disegnati in precedenza.
Finalmente il progetto venne
approvato sia dal Comune che dal Genio Civile, pertanto l'amministrazione
contrasse un mutuo con la Cassa Depositi e Prestiti e provvide all'appalto
dei lavori che venne aggiudicato il 15 aprile 1886 all'impresa Boschi di
Viterbo.
Il preventivo di spesa, redatto
dall'ingegnere, fu di £.97.153,50 per l'opera, e di £. 4.854,36
per il serbatoio e £. 5.000,00 per la costruzione della fontana di
mostra per un totale di £.107.013,86 (7).
Il Consiglio Comunale, nella
seduta del 4 aprile 1886 (delibera n. 21, vds. appendice doc. XVI), nominava
l'ingegnere Tuccimei direttore dei lavori dell'acquedotto, con la clausola
che lo stesso avrebbe dovuto seguire costantemente i lavori, rimanendo
in Farnese ed in sua assenza si sarebbe dovuto far sostituire da un ingegnere
gradito al Consiglio.
Tuccimei accettava e nominava
suo assistente l'ingegnere agronomo Giuseppe Nocelli di Viterbo.
I lavori ebbero immediato
inizio. Dopo qualche mese dall'avvio dell'opera l'ingegnere Nocelli morì
per una malattia contratta sul lavoro, l'8 settembre 1886, all'età
di 20 anni, come risulta dall'atto di morte registrato nello Stato Civile
del Comune di Farnese (8).
Venne seppellito nel cimitero
locale, dove esiste ancora una lapide commemorativa. Il suo posto fu preso
dall'ingegnere Gondret (9).
I lavori proseguivano freneticamente,
gli operai lavoravano senza soste. Per non interrompere i lavori vennero
costituite delle squadre di operai che lavoravano costantemente, a turni
di otto ore, sia di giorno che di notte. Il 17 febbraio 1887 avvenne l'incontro
nella grande galleria di Naiella. L'altra galleria fu completata nel luglio
dello stesso anno, quando gli operai che scavavano nella galleria sotto
la galeazza e quelli che lavoravano nella galleria della Poppicciola fecero
cadere l'ultimo diaframma che li separava incontrandosi sotto la località
di Naviglione.
Di tutti due gli incontri
venne data notizia telegrafica al Prefetto. Si conservano i telegrammi
inviati dal Sindaco Pietro Moscati che, con gioia, annunciava l'avvenimento
e quelli di risposta del Prefetto che si complimentava con il Sindaco.
Fu questo un importante traguardo
raggiunto dalla nostra gente, la cui indole intraprendente riuscì
a portare a Farnese, agli inizi del XX secolo, tra i paesi più evoluti
e progrediti della nostra Provincia per le conquiste sociali raggiunte (10).
Ultimati i lavori per l'acquedotto
venne costruita la fontana sulla piazza principale, su disegno dello stesso
Tuccimei.
L'inaugurazione avvenne il
25 settembre 1887 e grandi furono i festeggiamenti, molti forestieri parteciparono
alla gioia di Farnese.
L'affluenza fu tanto massiccia
che la maggior parte di questi dovettero dormire all'aperto al Poggio della
Gioma, località allora proprietà del Sindaco Moscati
(11).
Affinché la vicenda
rimanesse impressa nella memoria di tutti e venisse ricordata anche dalle
generazioni future, lo storico evento venne immortalato; quel momento di
gioia e di commozione fu fissato in una immagine che ancora oggi a distanza
di un secolo non ha bisogno di commenti ed è ben presente nella
memoria di tutti.
Protagonista della foto
fu il popolo stesso. Gli operai e le maestranze che realizzarono
l'acquedotto posarono con gli utensili di lavoro; alcuni nell'atto di sferrare
l'ultima martellata, o di togliere l'ultimo chiodo.
I bambini vestiti a festa
e le donne che sfoggiavano le loro brocche, pronte ad affrontare interminabile
file per attingere l'acqua alla nuova fontana. In un angolo quasi in disparte,
le personalità politiche, il Sindaco, qualche Consigliere, l'ingegnere
Tuccimei.
Immaginiamo il fermento che
questa novità dovette aver scatenato tra la popolazione, le prove
e le lunghe pose a cui si sottoposero quei personaggi che oggi ci fanno
sorridere, che però rappresentano lo specchio di come eravamo:
immagini inusuali che ormai
appartengono al passato.
Dopo il lampo di magnesio
e i discorsi di rito, il gruppo si sciolse e l'Amministrazione Comunale
offrì' un banchetto alle personalità intervenute a alle maestranze
che avevano portato a termine l'opera.
Il pranzo ebbe luogo alla
Rocca, nei locali del Teatro (12).
Quel giorno, conoscendo bene
la nostra gente, possiamo dire che per festeggiare l'acqua, il vino corse
a fiumi. Si sa, "tutti i salmi finiscono in gloria", così tutte
le feste finiscono in lauti pranzi e gagliardi brindisi.
La vitalità della nostra
gente esplodeva nelle semplici e colorite feste paesane o in circostanze
simili più che mai da celebrare.
"...E l'acqua non ci ha
dato un momento di tregua..."
Il viaggio a ritroso nel tempo
che stiamo per concludere ci ha condotti attraverso quattro secoli di vicende
storiche, mutazioni sociali ed economiche che hanno cambiato la vita e
il volto al nostro paese.
Le notizie raccolte dall'archivio
svelano l'ampio affresco della nostra storia, un vasto mosaico da ricomporre
seguendo il cammino tracciato dai nostri progenitori. E anche se non è
facile rendere con le parole ciò che è statto vissuto dalla
nostra gente, le notizie rezuperate ci aiutano a comprendere ed a conoscere
eventi talvolta inediti che ci permettono un confronto tra le epoche trascorse,
accentuando diversità e caratteristiche di ognuna.
Proseguiamo il nostro itinerario
storico e umano e volgiamo ora una sguardo ai tempi a noi più vicini
ed a ricordi che appartengono ad un passato più recente.
Gli ultimi anni del XIX secolo
sono caratterizzati da una forte accelerazione dello sviluppo economico-sociale
e del progresso scientifico, che produrranno intense trasformazioni che
mai prima si erano verificate.
In questo periodo Farnese si trova
al culmine della sua ascesa sociale.
Dopo la realizzazione dell'acquedotto
seguono altre importanti opere che permetteranno l'ampliamento del paese
e la sua ristrutturazione.
Le opere realizzate - già
in progetto da molti anni -, furono la costruzione del mulino per cereali
sito nella via di S. Magno e del pubblico lavatoio al Bottino; inoltre
fu dato un nuovo definitivo assetto a Piazza
Belli(1).
In tempi immediatamente successivi,
l'Amministrazione Comunale acquisì alcuni orti situati per la via
di S. Magno, posti all'incirca dove oggi è il giardino pubblico(2).
Utilizzati in un primo tempo durante la costruzione del mulino come
deposito di detriti e di materiali edili, più tardi vennero destinati
ad ampliare 'attuale Piazza Vittorio Veneto (sotto colonne). La
Piazza che ormai si era formata e che costituiva un'ampia aera depressa,
in quanto esisteva un notevole dislivello, venne gradualmente sistemata
e colmata con materiali provenienti da scavi e demolizioni sino a portare
questi terreni al livello della piazza superiore (oggi Piazza Umberto I).
Le due piazza, portate allo stesso
livello, divenute ormai quasi pianeggianti, ebbero un assetto del tutto
simile a quello attuale, quando oltre le arcate del viadotto venne costruito
l'abbeveratoio. Uno scorcio di questa piazza , in uma immagine dei primi
anni del 1930, ci mostra la staticità del paesaggio, si direbbe
che il tempo si sia fermato. Niente è cambiato, o così poco
da non essere avvertito; solo il cartoncino della foto, sbiadito e ingiallito
dal tempo, ci porta al passato e a come in realtà le cose siano
cambiate, non tanto per quanto riguarda la fisionomia del paese, quanto
per i mutamenti avvenuti che implicano qualcosa di più profondo:
l'anima del paese è oggi irrimediabilmente mutata.
L'aspetto di piazza Vittorio Veneto
divenne pressoché identico a quello attuale, quando nel 1937 venne
costruita la fontana "sotto colonne", per festeggiare i cinquant'anni
dell'acquedotto. Fu chiamata fontana della "Vittoria" e fu eretta al posto
dell'abbeveratoio che a seguito delle trasformazioni urbanistiche si era
venuto a collocare in una zona centrale del paese e che quindi, non era
esteticamente adeguato all'aspetto ordinato e armonioso che si voleva dare
a farnese.
Sul bordo della grande vasca venne
incisa la frase: NEL CINQUANTESIMO DELL'ACQUEDOTTO SORGO AGILE E CANORA,
AD ESALTARE I CADUTI DELLA NUOVA ITALIA (3).
I "caduti" erano quelli della
guerra d'Etiopia e questo ci riporta agli anni del regime fascista. "L'Impero",
proclamato da Mussolini nel 1936, dopo le vittorie militari di Amba Aradam,
dello Sciré e del lago di Ascianghi, era al culmine della sua fortuna.
Anche Farnese, come tutta la nazione
del resto, si adeguò ai tempi e al regime festeggiando e commemorando
i nuovi eventi politici.
La fontana, in pietra basaltina,
di stile rinascimentale fu costruita a Bagnoregio ed ebbe un costo di L.
14.000 (vedi appendice doc. XVII). Grandi furono i festeggiamenti che si
protrassero dal 25 al 31 d'agosto del 1937. In questa occasione, oltre
a commemorare l'importante conquista sociale dell'acquedotto, raggiunta
cinquant'anni prima, vennero commemorati anche i trenta anni dell'impianto
dell'energia elettrica e tutto fu fatto coincidere con la festa annuale
in onore della Madonna della Pietà.
E' inutile dire che non fu la
solita festa paesana, l'interminabile manifesto parla chiaro. Il programma
pianificato fu vasto e ben predisposto: si riuscirono a fondere con saggezza
le serie e pedanti commemorazioni di rito, intercalando coloriti giochi
popolari, intrattenimenti musicali, "corse di cavalli barberi con fantino
in costume". Ci chiediamo come si siano potute dimenticare simili tradizioni
della nostra terra: quelle capaci combinazioni tra sacro e profano, espressione
di festa e di solennità popolare, oggi più che mai apprezzate
e rivalutate perché provenienti da un mondo tranquillo e da una
cultura completa, con un modo di intendere la vita molto lontano dal nostro.
Un mondo che è velocemente scomparso lasciando la sua traccia solo
nei ricordi delle passate generazioni.
Le celebrazioni che si svolsero
nell'agosto del 1937, furono dunque così eccezionali che il podestà
cav. Adolfo Moscati, spedì un a lettera all'Istituto Luce, affinché
inviasse degli operatori per effettuare una ripresa cinematografica il
28 e 29 d'agosto, giorni in cui la festa era al culmine. La ripresa purtroppo
non avvenne a causa di impegni assunti in precedenza dall'Istituto (4).
Molte furono le personalità
politiche e religiose che, invitate, intervennero alle cerimonie e ai solenni
festeggiamenti, predisposti e organizzati già dall'anno precedente
da "un solerte e attivo comitato" (5).
Il 28 agosto alla presenza della
autorità Provinciali fu ufficialmente inaugurata la nuova fontana,
benedetta dal vescovo di Pitigliano mons. Stanislao Battistelli.
Tutto il paese intanto era in
fermento e si preparava ad accogliere il giorno 29 il cardinale Carlo Salotti(6)
(6). Per l'eccezionale avvenimento le contrade del paese furono ornate
di pennoni, di alloro e di festoni tricolori, all'entrata del paese, all'inizio
di Corso Vittorio Emanuele III "...fu eretto un grande arco di verdura
in stile romano e vuol essere un vero arco di trionfo che il nostro paese
rurale offre al cardinale Salotti..." (7).
In previsione della enorme folla
che quel giorno si sarebbe accalcata nella Chiesa Parrocchiale per assistere
alla Messa celebrata dal cardinale e che certamente non vi avrebbe potuto
affluire, fu predisposto un impianto di altoparlanti così che il
suo discorso si sarebbe potuto ascoltare nella piazza. La solenne cerimonia
fu accompagnata da pregevoli musiche eseguite con l'organo e da un orchestra
di strumenti ad arco (8).
Ma nel giorno tanto atteso, una
pioggia abbondante ed impetuosa, quanto inattesa, fece sfumare tutti i
preparativi e le accoglienze di rito, tanto che il cronista che riporta
e commenta i fatti avvenuti, sul periodico della Parrocchia "La voce
del pastore" (ottobre 1937), scrive con un certo rammarico: "Un'acqua
torrenziale ha cominciato a scendere con tanto impeto che ha scombussolato
tutti i nostri piani. E l'acqua non ci ha dato un momento di tregua per
tutta la giornata..." (9). Nonostante ciò i festeggiamenti proseguirono
e la Messa fu ugualmente trasmessa dagli altoparlanti. In ricordo di quell'avvenimento,
fu affissa nella Chiesa Parrocchiale questa Epigrafe:
IL 29 AGOSTO 1937 A. XV E.F.
FARNESE CELEBRANDO SOLENNEMENTE CON LA FESTA
DI
MARIA SS. DELLA PIETÀ
LA COMMEMORAZIONE CINQUANTENARIA DELL'ACQUEDOTTO
E
IL TRENTENNIO DELL'AZIENDA ELETTRICA COMUNALE
SUA EMINENZA ILL.MA IL SIGNOR
CARLO SALOTTI
ONORAVA COLLO SPLENDORE DELLA SUA PORPORA
IL NOSTRO PAESE
ED
IN QUESTA CHIESA ARCIPRETALE PARLÒ AL NOSTRO POPOLO
CHE UNANIME PROMISE
DEVOZIONE TENERA ALLA MADRE DIVINA
FEDELTÀ E AMORE
AL SOMMO PONTEFICE
IN MEMORIA DEL GRANDE AVVENIMENTO
PERCHÉ SEMPRE FARNESE SIA FEDELE
A QUESTE SOLENNI PROMESSE
D. GIUSEPPE BENIGNI ARCIPRETE PARROCO
CAV. ADOLFO MOSCATI PODESTÀ
P.P.
|
La festa proseguì fino al 31 agosto con giochi popolari, tombole, "...programmi
musicali e proiezioni cinematografiche con la nuova macchina del
locale Consiglio Parrocchiale..." (10).
I semplici divertimenti, i giochi
popolari bastavano a suscitare entusiasmi e allegria in tutto il paese:
quell'aria profumata di festa che oggi non riusciamo più ad assaporare.
Abbiamo ripercorso così
tanti anni di storia e registrato la cronaca di una conquista sociale ed
economica di rilevante importanza per Farnese e, soprattutto per i suoi
cittadini.
Sono essi, in fondo, i costruttori
della loro civiltà e della loro crescita culturale.
I farnese, i Chigi, i Papi, i
Re d'Italia sono passati... I farnesani sono ancora qui, vivono ed amano
questa terra e questo paese con l'immutato attaccamento dei loro antichi
progenitori.
Note tecniche sull'acquedotto
di Farnese
A cura del Geometra Armando
Ronca
Fin dai tempi remoti i Farnesani si
adoperarono per condurre le acque potabili della sorgente "La Botte" all'interno
dell'abitato.
La sorgente sgorga in una valle
a Nord del Comune di Farnese e dista dall'abitato circa 5 Km.;
del tipo a sfioramento i viene alimentata da una lalda superficiale.
La sua portata risulta alquanto
variabile con le stagioni, raggiungendo in inverno valori di 20 l/sec,
diminuendo invece fortemente d'estate tino a ridursi, nei periodi di siccità,
a soli 5 / 6 l/sec.
Il terreno che separa la sorgente
dall'abitato è costituito da un alternarsi di forre fra le quali
assai profonda è quella entro cui scorre il fiume Olpeta.
L'attraversamento di tali ostacoli
naturali ha sempre costituito, come si descriverà in seguito, il
maggiore impedimento alla realizzazioni dell'opera.
Dalle notizie d'archivio risulta
che nel 1617 furono iniziati i primi lavori per la costruzione dell'acquedotto,
a spese della Comunità; durarono tre anni e furono seguiti e diretti
dal "Mastro Architetto Cherubino".
La prima opera eseguita risulta
l'allacciamento della sorgente "con una vasta cinta di mura di forma
quadrata, alta cm. 40 per tre lati ed aperta sul quarto lato per lo sgorgo
delle acque che andavano a versarsi nel contiguo fosso della vallata".
Vennero iniziati anche lavori
per lo scavo del cunicolo il quale, partendo dalla piccola valle nella
quale scaturisce la sorgente, si sviluppa tortuosamente ''sulla china del
monte'', internandosi di pochi metri all'interno del monte stesso.
La sezione varia quanto il suo
andamento ma può ritenersi per media un'altezza di ml. 1,80 ed una
larghezza di ml 0,80. Oltrepassato il Ietto del fiume Olpeta si ritrova
nuovamente il cunicolo, non più tracciato superficialmente sulla
costa del monte bensì più in profondità. Per tale
motivo la galleria fu costruita con il sistema dei pozzi (considerato che
gli antichi intendevano realizzare una unica galleria verso Farnese, I'escavazione
dei pozzi costituiva dei caposaldi plano-altimetrici dai quali poter attaccare
lu scavo nei due sensi e poter estrarre le materie di risulta). Furono
realizzati 12 pozzi, alcuni dei quali raggiungevano la profondità
di 80 metri; I'ultimo pozzo era ubicato nella "Chiusa del Belli" e costituiva
il punto fin dove erano arrivati i lavori di scavo delle gallerie.
Da una livellazione dell'antico
tracciato si rileva che già al 3° " sfogatore" sarebbe
stato necessario effettuare un ulteriore scavo di 30 cm. per consentire
alle gallerie una pendenza del tre per mille. Oltre questo sfogatore, ad
una distanza di circa 50 metri, I'andamento deIIa galleria si rialza di
40 cm. e repentinamente, dopo altri 42 metri, si abbassa rispetto alla
quota della sorgente, della considerevole altezza di metri 2,53.
Di seguito la quota della galleria
torna ancora a rialzarsi rispetto alla quota della sorgente a tal punto
che in corrispondenza del pozzo n° 9 il fondo della galleria dovrebbe
essere sbassato, per avere una corretta pendenza del 3 per mille,
di metri 4,74.
Proseguendo verso Farnese ed esaminando
gli ultimi tre pozzi (gli ultimi due venivano chiamati rispettivamente
''della Signora'' e ''della chiusa del Belli'') si riscontra che i medesimi
furono scavati solamente per la metà della necessaria profondità.
Oltre ai suddetti lavori non si ha traccia e notizia di ulteriori proseguimenti.
A causa quindi di inesattezze nelle livellazioni (abbiano visto le notevoli
contropendenze esistenti nelle gallerie) e per probabile mancanza di fondi,
per i nostri intraprendenti avi, I'acquedotto rimase un pio desiderio.
Più volte nello stesso
secolo e nel successivo 1700 la Comunità di Farnese tentò
di riprendere i lavori ma "si contrapposero sempre Circostanze avverse
le quali per fatalità, spesso attraversano il compimento delle grandi
opere d'arte".
Le sopite iniziative si ravvivarono
nel 1853 quando il Consiglio Comunale, con delibera n. 182 del 15 Agosto,
incaricò I'ingegnere governativo Zotti, capo dell'Ufficio Tecnico
della Delegazione Viterbese, per la redazione di un progetto teso a condurre
l'acqua potabile della sorgente La Botte a Farnese.
Questo ingegnere prese una perfetta
conoscenza dei luoghi e rilevò tutti gli antichi lavori in modo
da sfruttare il più possibile quanto già fatto. Infatti il
progetto da lui redatto prevedeva la realizzazione dell'acquedotto utilizzando
le vecchie gallerie in relazione però alla ''cadente" necessaria
affinché le acque avessero velocità tale da non essere deteriorate.
Per quanto riguarda I'attraversamento
delle varie forre, lo stesso previde la realizzazione di ponti-canali in
muratura, invece per I'abitato pensò alla costruzione di una fontana
di ''mostra E d'attingimento I' in Piazza Belli e di pubblici lavatoi nelle
adiacenze della Piazza.
L'acquedotto, così progettato,
faceva registrare una lunghezza complessiva di m. 4613,25, un dislivello
tra la sorgente e piazza del Belli di m. 22, 298, con una pendenza del
tre per mille tale, cioè, da consentire una disponibilità
di m. 7,26 in altezza per la realizzazione della fontana pubblica.
Come già detto I'acquedotto
era costituito da cinque gallerie collegate da ponti canali. II più
grande era quello necessario per I'attraversamento della Valle dell'Olpeta,
da realizzarsi in muratura con due ordini di arcate per una lunghezza di
m. 119 ed un'altezza di m. 25. Il costo complessivo dell'opera fu previsto
in scudi romani 9.714 equivalenti a lire 52.213,66.
Tale progetto, inappuntabile dal
punto di vista tecnico per I'epoca, rimase inattuato perché, pur
essendo grandioso nelle idee di realizzazione delle opere, non lo eia affatto
nel preventivo di spesa giudicato eccessivamente esiguo dagli appaltatori
che disertarono tutti i tentativi d'appalto e quindi rimase atto d'archivio
fino al 1881.
>In quell'anno gli Amministratori
Comunali decisero di riesaminare il problema acquedotto ed incaricarono
l'ingegnere civile Giovanni Iecini per la revisione del progetto Zotti
e per la formulazione di nuove proposte per la realizzazione dell'opera.
L'ing. Iecini l'11 3.1881 presentò
il suo progetto che prevedeva sostanziali modifiche a quello precedente.
Variò completamente il tracciato dell'acquedotto ottenendo una galleria
in più ma riducendo sensibilmente la lunghezza di ogni singola galleria;
inoltre sostituì i costosi manufatti in muratura per il collegamento
delle gallerie con dei sifoni tubolari.
I tubi erano previsti in terra
cotta, lisci smaltati internamente aventi il diametro interno di cm. 21,
la lunghezza di cm. 50 e lo spessore di cm. 5. Secondo i dati desunti dal
progetto la sorgente aveva una portata di 24 l/sec.; la lunghezza complessiva
dell'acquedotto era di m. 5112 e quindi con la pendenza del tre per mille
l'acqua avrebbe avuto una velocità di 0,32 m/sec. ed
avrebbe impiegato, per giungere dalla Botte a Farnese 4 ore e 53 minuti.
II dislivello tra la sorgente
e la piazza risultava di m. 21,65; il costo dell'opera di L. 75.000,00.
>Questo progetto pur vantaggioso
rispetto a quello dell'ing. Zotti, non venne approvato dal Regio Genio
Civile che riscontrò errori per quanto riguardava gli scavi e la
posa dei tubi.
L'Amministrazione Comunale con
delibera n. 23 del 14.10.82 prese atto dell' impossibilità di realizzare
il progetto dell'ing. Iecini e, su indicazione della Prefettura di Roma,
incaricò I'ing. Giuseppe Badia affinché rettificasse il progetto
lecini e facesse quanto altro necessario perché il progetto venisse
approvato dal Genio Civile. L'ing. Badia modificò completamente
il progetto Iecini tenendo conto delle osservazioni fatte in precedenza
dagli organi di controllo, ma anche così modificato il progetto
non fu ritenuto meritevole di approvazione.
Successivamente l'ing. Romani
di sua iniziativa chiese al Comune di poter elaborare un proprio progetto
ed il Comune accordò.
Nel progetto era inserita una
notevole innovazione relativa alla sostituzione dei tubi in cotto con altri
in ghisa; ciò nonostante il genio civile non lo approvò e
I'ing. Romani più volte sollecitato dal Comune ad apportare le modifiche
al progetto, non provvide alla rettifica dei propri elaborati.
Dopo questi tentativi il Comune
di Farnese entrò in trattative con la Società Italiana per
le Condotte d'Acqua con sede in Roma e la incaricò alla redazione
di un progetto per la costruzione del pubblico acquedotto e del molino
per la macinazione dei cereali. La Società presentò il progetto
in data 3.9.1884.
L'ingegnere che lo firmò
fece numerose considerazioni sui progetti precedenti e si soffermò
soprattutto sul tracciato proposto dall'ing. Iecini dal quale trasse spunto.
Dalla relazione tecnica si rileva:
"... decisi di modificare il progetto lecini allo scopo di diminuire
possibilmente la lunghezza totale dell'acquedotto e di sboccare con le
gallerie ad un livello adeguato sui burroni che si attraversano.
Esclusi fin da principio condutture
in terra cotta perché I'esperienza di questi ultimi anni non incoraggia
a costruirne ... ho creduto meglio progettare una conduttura in ghisa che
partendo dalla Botte si sviluppa a sinistra del fosso omonimo ... tra una
galleria e I'altra invece dei ponti in muratura sarebbero poste delle condutture
forzate in ghisa munite di rubinetto cli scarico nel punto più basso.
La fontana di mostra e d'attingimento e I'abbeveratoio verrebbero costruiti
in pazza Belli e da essi I'acqua passerebbe in un molino a grano, che il
Comune intende di costruire e quindi per I'irrigazione degli orti nella
valle sottostante ... il molino nell'abitato è anche un bisogno
sentito della popolazione che ora deve portare i cereali a macinare in
una mola che trovasi a tre Km. di distanza ... la quantità d'acqua
che si conduce in Farnese è di 20 l/sec. ed ammesso che 2 I/sec.
vadano consumati per gli usi civili e personali in ragione di 57 litri
per abitante al giorno rimangono sempre 18 l/sec. per essere impiegati
come forza motrice..."
Dai calcoli dell'ingegnere si
riscontra che per macinare 200 Kg. di cereali all'ora sarebbe occorsa una
quantità d'acqua pari a 37 l/sec. Considerato che dell'acqua della
sorgente si poteva disporre di soli 18 I/sec., sarebbe stato necessario
costruire un serbatoio di accumulo della capacità tale da fornire
i mancanti 19 l/sec. L'acqua si sarebbe accumulata nelle ore di inattività
del molino; la capacità del serbatoio
dovrebbe essere stata di 324 mc. e, quindi, nella giornata il molino avrebbe
potuto macinare per 10 ore e siccome sarebbero occorse altre 10 ore e mezzo
per riempire due volte il serbatoio, per molire i 20 Q.li il molino avrebbe
iniziato a macinare alle 5 del mattino per finire alle 8 ed un quarto di
sera in modo da far riempire il serbatoio nella notte, per ricominciare
il giorno successivo.
In un anno con il nuovo molino
si sarebbero potuti macinare 7.000 quintali di cereali. Considerato che
ai Comuni di Farnese ed Ischia ne occorrevano 12.000, si era certi che
al molino non sarebbe mancato il lavoro.
L'ammontare dei lavori secondo
il progetto indicato, per condurre I'acqua in Farnese, costruire acquedotto,
fontana di mostra e lavatoio, era di L. 198.000 mentre per i lavori del
molino L.26.000 quindi per un totale di L. 224.000.
Il Comune di Farnese con delibera
n° 47 del 21.9.1884 approvava tale progetto apponendo però delle
riserve circa i prezzi previsti, che risultavano veramente eccessivi rispetto
a quelli dei progetti precedenti.
Probabilmente fu questo la causa
che indusse il comune a sciogliere i rapporti con la società in
parola ed a prendere contatti con l'ing. Cesare Tuccimei.
Il Comune con nota del 6.11.1884
affidava all'ing. Tuccimei l'incarico di compilare un progetto per fornire
il paese d'acqua potabile e per costruire un molino. I progetti furono
presentati il 5.6.1885.
In pratica il progetto dell'ing.
Cesare Tuccimei, che è poi quello che venne realizzato, prevedeva:
"... pel tracciato non ci siamo scostati di gran lunga dal progetto
antecedente, che era pure in massima, quello dello lecini. Le acque della
Botte, entro tubature metalliche, dalla valle della sorgente piegando su
quella delI'Olpeta, attraverseranno questo corso d'acqua sul ponticello
della Via del Lamone e quindi ascendendo, dopo 1.400 metri di percorso
dalla sorgente si verseranno nella prima galleria detta "La Poppicciola"
lunga m. 31. Il fosso della Poppicciola sarà attraversato con altro
piccolo sifone lungo m. 51,13. Succederà a questa la grande galleria
della "Naiella", la più importante opera dell'acquedotto, giacché
la Iunghezza tra i punti estremi è di metri 1.778. Il tracciato
di questa non è completamente rettilineo, ma a m. 1.394 dall'imbocco
superiore piega a sinistra con un angolo di 146° 20' per avere sbocco
dall'altro estremo sulla sponda destra del fosso di "Naviglione"... le
due ultime gallerie tra il fosso di Naviglione e quello della Galeazza
e tra questo e quello della Ragnara sono lunghe rispettivamente m. 394
e m. 428 e potranno ancora per brevità essere attaccate ad un tempo
da ambedue gli imbocchi estremi. I sifoni sui tre suddetti fossi hanno
una lunghezza sviluppata di m. 131,03 - 109, 64 e 227,55. L'importo dell'opera
è di L. 97. 153,50; L.4.854,36 per il serbatoio; L. 5.000,00 per
lu fontana di mostra, per un totale di L. 107. 013, 86..."
Finalmente il progetto redatto
dall'ing. Cesare Tuccimei veniva approvato sia dal Comune che dal Genio
Civile. Pertanto il Comune reperì i fondi contraendo un mutuo con
la Cassa Depositi e Prestiti e provvide all'appalto che venne aggiudicato
il 15 Aprile 1886 all'impresa dell'ing. Boschi di Viterbo per l'importo
di L. 105.970,86.
Il Consiglio Comunale
con delibera n° 21 del 4 Aprile
1886 affidava all'ing. Cesare Tuccimei la direzione dei lavori del
pubblico acquedotto.
Il capitolato d'appalto prevedeva,
per l'ultimazione dei lavori, di impiegare massimo 21 mesi, mentre per
quanto riguarda l'esecuzione degli scavi in galleria: "... sarà
obbligo dell'imprenditore di dar principio all'iscavazione di ambedue gli
imbocchi sui quali non dovrà mai arrestarsi il lavoro né
di giorno né di notte continuando mediante tre mute di operai della
durata dei lavori di 8 ore ciascuna...".
I lavori furono ultimati in soli
18 mesi e quindi I'acquedotto venne inaugurato e diventò funzionante.
Nel corso degli anni, per mutate
esigenze igieniche sono stati eseguiti i lavori relativi alla distribuzione
dell'acqua a livello urbano, dapprima sfruttando la cadente che offriva
il serbatoio ubicato dietro la fontana di mostra e, successivamente, tramite
la costruzione di un serbatoio piezometrico in loc. "Cappuccini'' alimentato
da una stazione di pompaggio adiacente la fontana di mostra in Piazza Umberto
I (già Piazza del Belli).
Non essendo più sufficienti
le acque della sorgente Botte per gli usi civili ed industriali, fu captata
I'acqua del Fosso della Faggeta e condotta, tramite l' esistente tracciato
e con integrazione di condutture metalliche, in Farnese utilizzandola esclusivamente
a livello industriale.
>Le acque del fosso furono intubate
ed immesse in galleria; le gallerie si presentavano quindi con una canaletta
scoperta dove l'acqua del fosso scorreva a pelo libero e con un'altra canaletta
coperta con mattoni in laterizio dove l'acqua della Botte scorreva coperta
e quindi protetta igienicamente.
A causa dei facili intorbidamenti
della Botte, delle sue portate irregolari e del cessato uso industriale
delle acque del fosso della Faggeta, furono captate le acque deIIa sorgente
Faggeta, e condotte, tramite i preesistenti manufatti, a Farnese, con lo
scopo di integrare la Botte nei momenti di magra e di miscelare le acque
chiare della Faggeta con quelle della Botte nei momenti di intorbidamento.
Infatti la sorgente Faggeta, anch'essa
del tipo a sfioramento viene alimentata da una falda assai profonda ed
ha una portata costante di circa 4 l/sec.
Nel 1981 è stato eseguito
un grosso lavoro all'interno dei tunnel dove le acque che scorrevano a
pelo libero, sono state immesse entro tubi in P.V.C. aventi un diametro
di 200 mm., in modo che le stesse giungessero, protette da agenti esterni,
dalla sorgente alla distribuzione.
Periodicamente Ie acque vengono
sottoposte a controlli chimici, fisici e batteriologici per verificarne
la potabilità. I risultati che si ottengono evidenziano le ottime
caratteristiche chimico-fisiche dell'acqua e a volte, purtroppo, la presenza
di batteri che ne alterano la potabilità.
Per ovviare a tale inconveniente
si interviene a norma di legge con idonea addizione di cloro, necessario
all'abbattimento dei batteri ed al mantenimento di un buon grado di igienicità
della rete di distribuzione urbana. La clorazione viene effettuata in modo
automatico con sofisticate apparecchiature elettroniche che per mezzo di
sensori individuano I'eventuale presenza di batteri e provvedono conseguentemente
ai necessari dosaggi.
Il problema dell'approvvigionamento
idrico e della distribuzione a livello urbano è continuamente oggetto
di studi finalizzati al più razionale ed economico utilizzo degli
impianti.
Nel 1985 la stazione di pompaggio,
con funzionamento meccanico azionato da un orologio tarato in base ai consumi
di punta e quindi soggetta ad irrazionali consumi di energia elettrica,
è stata dotata di un'apparecchiatura elettronica (ponte radio) che
consente l'esercizio delle pompe in base ai bisogni effettivi, con notevoli
risparmi di energia e di denaro.
Nel 1986 è stato dato incarico
al Geologo Giuseppe Pagano di effettuare uno studio sulle sergenti Botte
e Faggeta al fine di ottenere proposte per eliminare gli inconvenienti
dovuti all'intorbidamento delle acque. Nel contempo I'ing. Francesco Treta
veniva incaricato di effettuare uno studio generale per il miglioramento
del sistema di distribuzione urbana. I progetti sono ancora in fase di
redazione e, quindi, non si è a conoscenza delle soluzioni che verranno
proposte.
Per celebrare la ricorrenza del
centesimo anniversario della costruzione dell'acquedotto, l'Amministrazione
Comunale ha provveduto, mediante appalto alla ditta Sabatini Giuliano,
alla sistemazione e ristrutturazione della fontana di mostra in Piazza
Umberto I.
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