ROFALCO:
un centro fortificato etrusco
nella Selva del Lamone.
A seguito di una serie di ricognizioni
preventive del G.A.R. concordate con l'ispettore di zona per la Soprintendenza
archeologica per l'Etruria Meridionale e con il direttore del Museo Civico
di Farnese, nell'agosto 1996 é stato effettuato un primo intervento
di ripulitura di scavi clandestini all'interno dell'imponente cinta muraria
di Rofalco, in collaborazione con al Soprintendenza archeologica per l'Etruria
Meridionale e con il fattivo aiuto dell'amministrazione comunale di Farnese
nel cui territorio rientra il centro fortificato etrusco. Va rilevato che
le uniche immagini degne di nota effettuate precedentemente sul sito vennero
svolte nei primi anni '80 da volontari del G. A. Romano guidati da R. Selmi
poi edite da M. Rendeli ("Città Aperte Ambiente e paesaggio rurale
organizzato in Etruria Meridionale costiera durante l'età orientalizzante
arcaica", Roma 1993, pp. 212-220, bibliografia ivi compresa).
L'abitato, esteso
per circa due ettari, si pone lungo il margine meridionale di uno dei più
suggestivi ed incontaminati paesaggi dell'Italia centrale: la Selva del
Lamone.
Risulta delimitato su tre lati
da una poderosa cinta di mura ad andamento semicircolare e con torri quadrangolari.
L'altro lato appare naturalmente protetto da un alto costone a controllo
dell'asse viario naturale costituito dalla Valle del torrente Olpeta. Lo
spazio entro la cinta difensiva non presenta affatto un andamento pianeggiante,
ma è il risultato di una serie di modifiche dell'uomo dell'aspro
paesaggio della selva del Lamone.
Le quote massime
si riscontrano presso il costone meridionale e tendono ad aumentare gradualmente
verso est. Verso il lato nord, il suolo degrada dolcemente creando una
sorta di cavea, raggiungendo le quote minime in prossimità del tratto
settentrionale delle mura, con un tasca leggermente rialzata nel settore
compreso tra due torri quadrangolari.
Su tutta l'estensione
della superficie è ben visibile una ricca vegetazione arbustiva,
purtroppo seriamente danneggiata da folte piante infestanti. Queste, inoltre,
rendono poco leggibili e intaccano le strutture antiche affioranti.
Le devastazioni maggiori
risultano comunque create dall'azione dell'uomo. Sono infatti evidenti
vecchi lavori di spietramento, per uso agricolo o per allevamento, che
hanno danneggiato opere murarie stratigrafie di crollo. A tali sconvolgimenti
si è poi aggiunta negli ultimi anni l'opera degli scavatori clandestini
che hanno devastato i settori dove più erano evidenti le emergenze
archeologiche. Tenendo pur presenti i limiti sin'ora enunciati, sembrerebbe
che le costruzioni interne dell'abitato fossero organizzate a nuclei, disposti
su terrazzamenti artificiali che digradavano verso il limite settentrionale.
Questi gradoni vennero ottenuti livellando le formazioni rocciose naturali,
impiegando nel contempo i materiali di risulta per la costruzione di strutture
ed edifici. E' assai probabile che in un primo momento la maggior parte
del pietrame di risulta venne usato nella realizzazione delle mura, mentre
per la costruzione degli edifici, o almeno per le loro fondazioni e per
l'alzato della porta est, vennero utilizzati blocchi squadrati di tufo
giallo. Alcuni di essi paiono indicare la presenza di muri disposti tra
loro ortogonalmente sulle varie terrazze. Appare evidente che il tufo venne
usato in una fase costruttiva forse coeva alla realizzazione della grande
cinta muraria, o quantomeno della porta est. La presenza di frammenti di
blocchi squadrati di tufo riutilizzati in varie murature farebbe supporre
che vennero realizzate in una seconda fase costruttiva inquadrabile tra
gli ultimi anni del IV ed il principio del III secolo a.C. Per quanto concerne
la viabilità interna è assai probabile che seguisse l'andamento
dei terrazzamenti artificiali raccordandosi agli assi principali legati
alle vie di accesso all'abitato. Di queste una sola attualmente identificabile
con certezza: quella che entrava attraverso la porta orientale. Data l'assenza
di sorgenti entro la cinta di mura, è assai probabile che le strutture
legate all'approvvigionamento idrico fossero spazi ipogei dove si raccoglieva
acqua piovana. Sono oggi visibili due cisterne rivestite di cocciopesto
messe in luce dagli scavi clandestini. Una è posta a sud-ovest,
a breve distanza dal costone sull'Olpeta , ed una seconda, più ampia,
si colloca in posizione quasi centrale su uno dei terrazzamenti inferiori
del sito.
Il lavoro d'indagine
su Rofalco si può considerare appena iniziato, quindi il procedere
delle ricerche potrà portare a nuove formulazioni di ipotesi, alla
conferma , o smentita, di altre. E' comunque doveroso sin da ora formulare,
quantomeno in via del tutto provvisoria, delle interpretazioni che permettano
di inquadrare l'insediamento all'interno di una dinamica storica che prevarichi
la sola - e sterile - illustrazione dei materiali. Prima dell'intervento
dell'agosto 1996 si riteneva che l'insediamento di Rofalco fosse già
attivo nel VI secolo a.C. Risulta comunque inconfutabile che in questo
momento il centro conobbe un notevole sviluppo collegato probabilmente
con la costruzione delle mura e le fondazioni degli edifici in blocchi
di tufo.
La realizzazione
dell'apparato difensivo, se non anche dell'abitato, va posta quindi in
rapporto con un momento storico in cui si rese necessaria una consistente
difesa del territorio, come potrebbero testimoniare altri ritrovamenti
nel vulcente.
Nel IV secolo a.C.
nel vicino centro di Vulci si riscontra la fortificazione dei principali
punti di accesso alla città con mura in opera quadrata di tufo.
Inoltre tra la metà e la fine del IV secolo a.C. altri centri dell'area
vulcente parrebbero venir cinti da mura: è il caso di Sovana, di
Ghiaccioforte e forse Doganella. I motivi che resero necessaria la creazione
di queste difese vanno quindi ricercati in una situazione storica che ne
determinò l'esigenza. Tale necessità fu generata, probabilmente
dalla guerra romano-tarquiniese, conclusasi nel 351 a.C., o dalle sue conseguenze.
Non va infatti esclusa l'erezione delle fortificazioni negli anni immediatamente
successivi, in previsione di una ripresa delle ostilità (con la
non lontana Tarquinia Roma stipulò un trattato di pace quarantennale
e a quanto risulta dalle fonti venne rispettato). Gli affreschi della tomba
François di Vulci datati proprio tra il 350 e il 325 a.C. (o tra
il 340 ed il 310 a.C.), parrebbero forse indicare una partecipazione vulcente
a quella guerra e comunque mostrano un atteggiamento antiromano dell'oligarchia
locale negli anni successivi al 351 a.C.
La fine dell'abitato
di Rofalco, come l'osservazione di stratigrafie parrebbe dimostrare, è
legata ad un fenomeno traumatico, un incendio, verificatosi intorno ai
primi decenni del III secolo a.C: Più che dovuta ad un incidente,
tale distruzione potrebbe essere legata ad un episodio bellico forse indiziato
da proiettili di frombola rinvenuti in uno strato d'incendio presso la
porta est delle mura. Avvalorerebbe l'ipotesi l'apparente, definitivo e
totale abbandono del sito dopo l'incendio. Quest'ultimo, molto presumibilmente,
va posto in stretta relazione con la vittoria romana su Vulci nel 280 a.C.
Il grande centro etrusco venne fortemente penalizzato dalla sconfitta:
tratti di mura vennero smantellati, l'estensione dell'abitato si ridusse,
l'entità dei corredi funerari diminuì fortemente, scomparvero
iscrizioni etrusche nelle tombe e vennero sostituite da altre in lingua
latina, nessun membro dell'aristocrazia locale, al contrario di ciò
che si verificò per altre città etrusche conquistate, entrò
a far parte del senato romano e scomparvero dai commerci alcune produzioni
locali a favore di altre direttamente controllate da Roma.
Probabilmente le
truppe di Roma non si limitarono alla sola conquista della città,
ma ne devastarono il territorio circostante. Infatti in questo momento
l'abitato di Ghiaccioforte subì una violenta distruzione ed un definitivo
abbandono. A Saturnia uno stato caratterizzato da un incendio, a cui segue
un lungo abbandono, precede la fondazione della colonia del 183 a.C. ed
è stato datato intorno al 280 a.C. A questi si aggiungano recenti
ritrovamenti, pressoché inediti, effettuati dalla Soprintendenza
archeologica per l'Etruria Meridionale quali l'insediamento di Poggio Evangelista
a Latera e l'altro del Bagno di Musignano a Canino. Forse anche la distruzione
dell'abitato di Doganella è da porre in rapporto con lo stesso evento
bellico. L'oppidum di Rofalco, molto probabilmente, seguì la stessa
drammatica sorte. Ne consegue che questo centro etrusco, almeno nelle parti
sino ad ora indagate, sarebbe vissuto entro un arco piuttosto limitato
nel tempo: circa settanta anni. Pertanto appare alquanto evidente l'importanza
che ricopre non solo sotto gli aspetti storici, urbanistici e topografici,
ma anche legati alla seriazione tipologica dei materiali. Risultano infatti
chiusi in un arco cronologico abbastanza ristretto, tale da costituire
un punto di riferimento fondamentale per gli studi a venire. Va poi rilevato
che l'intervento su Rofalco renderà possibile la sua valorizzazione
ripulendo e rendendo accessibili strutture e impianti, pressoché
unici nel loro genere, entro uno dei più suggestivi paesaggi della
Maremma, al confine tra Lazio e Toscana, qual'è la Selva del Lamone.
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