el 1867, al tentativo di liberare Roma partecipano anche numerosi patrioti toscani. Nicola Guerrazzi di Follonica classe 1836, che aveva combattuto in varie campagne d'Italia guadagnandosi la stima e l'amicizia degli uomini più rappresentativi della democrazia nazionale, verso i primi del mese di ottobre viene incaricato di raggiungere Acerbi nei pressi di Acquapendente con duecento maremmani.
Anche una quarantina di giovani di Massa Marittima si arruolano con entusiasmo e la sera del giorno 11, dopo essersi radunati sulla via del cimitero, lasciano la loro cittadina ancora in festa per la ricorrenza patronale di San Cerbone.
In località "Capanne Vecchie", poco distante dall'abitato, incontrano la colonna livornese
comandata da Jacopo Sgarallino e, insieme, giungono a Grosseto la sera successiva.
Ripresa la marcia, dopo un breve cammino, fanno
sosta - superata Santa Maria di Rispescia - nel podere "Valle Maggiore" di Benedetto Ponticelli,
dove il 14 vengono raggiunti da
un'ottantina di volontari provenienti da Campiglia, Scarlino, Gavorrano e Caldana.
Qui si provvede all'assegnazione delle armi; ma i fucili che si possono distribuire,
per giunta "incompleti", sono soltanto cinquantotto. Scarse anche le
munizioni.
La mattina dei 15, la colonna - ora al completo - muove alla
volta dell'Albegna. Presso il fiume sono ad attenderla i medici
Apolloni, Mazzoni e Pini, arrivati appositamente da Pisa.
Al Guerrazzi viene conferita la nomina di capitano.
L'indomani, guadato il corso d'acqua verso le otto dei mattino,
i patrioti percorrono la pianura di Marsiglana; quindi, attraverso intricate boscaglie, affrontano la
faticosa ascesa delle colline mancianesi. Quando giungono a Poggio Fuoco è già notte fonda.
Vanno oltre, fino alla fattoria del Fabbrini, non lontana dalla Campigliola. Una caprareccia, dopo
che hanno consumato una frugale zuppa di fagioli e un liquore fatto
venire da Manciano, li accoglie per poche ore di sonno.
Il giorno successivo, sull'imbrunire, entrano nel territorio dello
Stato Pontificio, raggiungono la sponda destra del Fiora e trovano
asilo in alcune porcarecce, nelle quali i mandriani allestiscono un
minestrone così disgustoso che il dottor Apolloni definirà "antigienico".
il 17 ottobre, sul far del'alba, al termine di una breve discussione sulle strategie da adottare, i capi decidono di guadare il Fiora, nonostante che l'esploratore inviato la sera precedente a verificare la situazione, non abbia fatto ritorno.
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