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e ceramiche rinvenute a Farnese provengono da numerosi "butti" scavati nel centro storico tra il 1982 e il 1993, e sono ora conservati nel Museo Civico "F.Rittatore Voniwiller".
    I primi butti furono rinvenuti durante lavori di ristrutturazione della rete fognante nel 1982; il materiale rinvenuto durante questo intervento di emergenza è stato in seguito restaurato e studiato a cura del Gruppo Archeologico Mediovaldarno (FARNESE 1985); nel 1989 la stessa associazione ha proceduto allo scavo di altri tre pozzi ubicati in piazza dell'Indipendenza e già individuati precedentemente; lo scavo è stato condotto con una tecnica per livelli prestabiliti (FARNESE 1991).
    Nel maggio 1993 è stato scavato un altro butto situato in un vicolo all'imbocco con la via XX settembre, la cui ubicazione era già nota in seguito ai lavori del 1982. Il pozzo, denominato Pozzo Peppetti, è stato scavato con metodo stratigrafico, a cura del Museo Civico sotto la direzione scientifica del Dott. Carlo Casi, allora Direttore del Museo (FRAZZONI-VATTA 1993). Il pozzo si presentava privo della parte superiore, con le pareti recanti tracce di intonaco; la forma è a fiasca, con largo e profondo cavetto sul fondo; le dimensioni sono: altezza 4,05 metri; larghezza 2,83 metri; larghezza del cavetto 1,05 metri; è da supporre che inizialmente fosse utilizzato come cisterna o silos per il grano. La copertura era costituita da un coperchio di tufo, di forma circolare schiacciata, rinvenuto in uno degli strati di riempimento del butto stesso.

    Nel Libro dei Consigli conservato nell'Archivio Comunale di Farnese viene riportata la richiesta, in data 3 giugno 1566, di "un vascellaro di Acquapendente che vole venire astare in Farnese a fare bottiga à lavorare di vascelli, et per essere la terra da lavorare lontano adimanda che la comunità s'obblighi a

portarli et condurli in Farnese una soma di terra da lavorare per foco..."; nello stesso documento il consiglio dispone che "tutti quelli che hanno somaro, gli devono condurre una soma di terra da lavorare l'anno, et quelli che nol hanno siano obligati d'andar per la terra con li detti somari..." (FARNESE 1985, p.22).
     Non si può affermare con certezza se il vascellaro abbia veramente intrapreso la sua attività, mancando ogni evidenza archeologica o altri riscontri d'archivio al riguardo. Il rinvenimento, in uno dei pozzi scavati nel 1982 denominato Genoria-Fornaretta 1, di un probabile provino di cottura o cono di fusione, sembra costituire a tutt'oggi, l'unico elemento a favore della presenza a Farnese di fornaci ceramiche (FARNESE 1991, p. 23).
    Un altro vascellaro di Acquapendente, Giminiano Stellifero, chiede al Consiglio del Comune di Castro, in data 8 maggio 1579, di aprire la sua attività di vasaio nella capitale del Ducato Castrense; la proposta viene accolta con favore dal Consiglio, il quale concede allo Stellifero anche un prestito e dispone la costruzione di una fornace, sottolineando inoltre come l'apertura di una bottega di ceramiche fosse non solo "hutile", ma costituisce anche motivo "d'honore" per la Comunità. (LUZI ROMAGNOLI 1981, p. 13; CHIOVELLI 1983, p. 3).
    A partire da questa data comincia per l'area castrense un periodo di intensa produzione di ceramica ingubbiata e dipinta, la cui diffusione tocca altri centri dell'Alto Lazio, come Valentano, Farnese, Vulci, Ronciglione, e che accanto ai motivi tradizionali delle produzioni maggiori, facenti capo a Montelupo, Deruta, Faenza, elabora uno stile originale, caratterizzato da "semplici decorazioni di sapore popolaresco, realizzate con pennellate vivaci in una simpatica policromia" (COZZA-MAZZUCCATO 1968, pp. 386-391; LUZZI-ROMAGN0LI 1987, pp. 87-88).

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